MARCHITELLI, Andrea. Catalogatori cercasi?. «AIB notizie», 19 (2007), n. 6, p. 5.
Disponibile a <http://www.aib.it/aib/editoria/n19/0605.htm3>



Leggendo il recente bel libro di Michele Santoro, Biblioteche e innovazione,1 mi sono imbattuto, nel capitolo dedicato alla “biblioteca nella società dell’informazione”,2 in alcune interessanti considerazioni sul futuro della biblioteconomia e della professione del bibliotecario in quella che l’autore chiama, con un termine usato per la prima volta da Lancaster, paperless society.

Il tema centrale di quelle pagine è, infatti, da una parte il destino delle biblioteche in un futuro più o meno prossimo, quando la nostra società sarà ormai “senza carta”; dall’altra il diverso approccio nei confronti della tecnologia di alcuni studiosi, che Santoro divide tra “apocalittici”, come Clifford Stoll o Tomas Maldonado, secondo i quali essa ha portato solo guai e continuerà a portare sempre maggior danni, e “integrati”, come Negroponte o De Kerckhove, secondo i quali la disponibilità di strumenti e tecniche innovativi condurrà, deterministicamente, a una progressiva riconversione, in meglio, di tutte le attività umane.

A questa visione così netta, Santoro oppone un’opinione più sfumata:

«[…] il cyberspazio non può essere un idoneo sostituto delle biblioteche fisiche, le quali rimangono uno spazio sociale e umano di estrema importanza in cui studiare, scorrere e selezionare risorse, chiedere e ottenere informazioni: tutto ciò utilizzando sia i supporti cartacei sia gli strumenti digitali, essendo gli uni e gli altri finalizzati a un ampliamento continuo dell’informazione e del sapere.»3

A quella delle biblioteche è chiaramente legata la sorte della professione del bibliotecario. Anche se non si tratta di una figura che va scomparendo e di cui la società non avverte più il bisogno, è fuori di dubbio che, ormai da anni, il ruolo del bibliotecario è sottoposto a un profondo mutamento. A fronte di un continuo allargamento del campo di azione della biblioteconomia tradizionale, ad abbracciare le nuove tecnologie e i nuovi supporti, la situazione del lavoro in campo bibliotecario in Italia, quando ce ne sia, è ancora piuttosto arretrata.

Da un’osservazione, che confesso empirica e non sistematica, 4 delle e-mail che transitano nella rubrica LAVORO5 della mailing list dei bibliotecari italiani, AIB-CUR, emerge che la stragrande maggioranza dei messaggi riguardano posizioni a tempo determinato e, più ancora, contratti di lavoro per collaborazioni.

Un aspetto fondamentale da tenere in considerazione è che una parte rilevantissima di tali annunci riguarda la ricerca di catalogatori, nelle diverse declinazioni della specie: catalogazione semantica, catalogazione con questo o quel software, basata su ISBD & RICA piuttosto che AACR2, di libri antichi, di opere nelle lingue più disparate…

I supporti elettronici, che sono ormai parte consistente delle collezioni delle nostre biblioteche, paiono non aver bisogno di alcuno che li tratti: mai richiesta, nelle offerte di lavoro, la conoscenza di schemi anche assai diffusi di metadati, come Dublin Core o MAG, ad esempio, o di competenze per la selezione di risorse digitali, o sul trattamento di documenti digitalizzati.

Le biblioteche, sono d’accordo con Santoro, non spariranno mai, poiché non verranno mai meno i bisogni informativi che in esse ci spingono; né sparirà mai la carta, che è supporto insostituibile per certa documentazione e per l’informazione che veicola. Scomparirà, però, prima o poi, la necessità di investire ingenti risorse, umane ed economiche, sui grandi progetti di recupero catalografico, poiché verrà il giorno in cui i cataloghi delle maggiori biblioteche saranno accessibili, almeno in una versione di base, attraverso il Web; la catalogazione dei nuovi acquisti verrà invece delegata sempre più ai fornitori esterni. A quel punto i fondi, che si spera non divengano sempre più esigui, andranno a finanziare piuttosto, come già inizia a capitare anche dalle nostre parti, progetti di digitalizzazione.

Assieme alla necessità di conversione dei cataloghi, verrà meno, temo, la necessità di schiere di catalogatori, nel senso più tradizionale e stretto del termine, e molte persone che oggi sono spinte a formarsi in questa direzione per rincorrere le richieste del mercato del lavoro se ne troveranno drammaticamente fuori. Si tratta in questo caso di un’altra delle storture derivanti dal sistema delle esternalizzazioni: il lavoratore è chiamato a svolgere solo operazioni di un certo ristretto ambito, come la catalogazione, tralasciando conoscenza teorica e pratica di tutto il resto della vita della biblioteca nella quale, spesso per pochi mesi, lavora.

Chiudo dunque invitando chi si trova in una situazione simile a fare attenzione, a tenere gli occhi aperti, a vedere che aria tira, a studiare e ad aggiornarsi, cercando di mantenere l’interesse, per quanto possibile non solo teorico, anche su applicazioni diverse da quelle tradizionalmente catalografiche. Coglie particolarmente nel segno, proprio in questo senso, l’incitamento che al bibliotecario cyberpunk, cioè il bibliotecario che ha abbracciato con fiducia le nuove tecnologie, dà Jonathan Wilson e che Santoro riporta:

«in un mondo in continuo cambiamento, la maniera migliore per essere al top è quella di uscire dai tradizionali confini.»



1 Santoro, Michele, Biblioteche e innovazione, Milano, Editrice bibliografica, 2006.

2 Si tratta del capitolo 2. In particolare si vedano le pp. 141-157.

3 Op. cit., p. 201.

4 Per un’indagine puntuale e dettagliata, v. Petrucciani, Alberto, Formazione, occupazione e professione, in Rapporto sulle biblioteche italiane 2004, Roma, AIB, 2004, pp. 109-115 e Id., Formazione, occupazione e professione, in Rapporto sulle biblioteche italiane 2005-2006, Roma, AIB, 2006, pp. 179-186.

5 <http://www.aib.it/aib/aibcur/age/lx.htm3>