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AIDA Informazioni
ISSN 1121-0095, trimestrale
anno 18, numero 1, gennaio-marzo 2000

Schegge
KM-Appunti: 1. Knowledge vs Information
Domenico Bogliolo
CICS - Centro interdipartimentale per il calcolo scientifico
Università degli studî di Roma "La Sapienza"

Qual è la differenza? Una dozzina di iscritti al KM Forum [1] se n'è occupata, tempo fa, sotto l'impulso iniziale di Ofer Meilich [2] il quale, osservando che quando i teorici dell'organizzazione parlavano, decenni addietro, di "informazione", si riferivano indifferentemente all'una o all'altra mentre, da quando sono sorte le tematiche del KM, la definizione di "conoscenza" pare racchiuderle entrambe, chiede (e si chiede): "Stiamo forse solo giocando con le parole, e a metter vino vecchio in botti nuove?"

Karl M. Wiig [3] risponde sostenendo che la conoscenza consiste di fatti, verità, credenze, prospettive e concetti, giudizi e aspettative, metodi e saper fare. Se la conoscenza è accumulata e integrata e mantenuta nel tempo per gestire situazioni e cómpiti specifici, l'informazione consiste, da parte sua, in fatti e in dati organizzati per descrivere una particolare situazione o condizione: si usa cioè la conoscenza per attribuire un significato a una situazione specifica: la conoscenza interpreta l'informazione relativa a una situazione, per decidere come gestirla. Wiig introduce due variabili significative quando afferma che la progressione "segnali - dati - informazione - conoscenza - saggezza" può essere vista come un continuum con molte aree grigie, e quando rileva che non è facile pervenire a definizioni esatte, specialmente degli ultimi tre termini (quindi visti come insiemi non definiti, fuzzy, aggiungiamo), a meno che non si consideri l'uso reale, concreto (e quindi dinamico) che viene fatto della nostra coppia oppositiva.

Maarten Sierhuis [4] riprende il discorso da questo punto, aggiungendo che la conoscenza è sempre "situata" e critica la visione riduttiva degli addetti all'intelligenza artificiale e alle scienze cognitive in genere, che hanno sempre visto la conoscenza in senso statico, oggettivo: rappresentazioni simboliche immagazzinate nel cervello (oggi, ricchi del senno di poi, diremmo, con più precisione ma con minor capacità identificativa: nella mente). La conoscenza, spiega, viene creata nelle situazioni e non è mai usata nel medesimo modo: è una teoria "situazionista" o di "azione situata". Possiamo sì "rappresentare" la conoscenza come informazione, cioè come una serie di simboli, ma la rappresentazione della cosa non coincide mai esattamente con la cosa rappresentata: la conoscenza è fluida, tacita, e in continuo cambiamento, tanto è vero che non possiamo utilizzare con la medesima efficacia procedure di "richiamo" della conoscenza così come possiamo fare con l'informazione. Il risultato, conclude, è che un sistema cognitivo non contiene mai conoscenza, ma si limita a rappresentare la conoscenza come informazione che può essere applicata dinamicamente al sistema.

Alex Goodall [5] rileva che se la conoscenza è intesa come un contenitore di dati e di informazioni, allora ogni sistema informativo diventa un sistema cognitivo il che, osserva, non ci sposta di un passo nel problema. Riferendo di una ricerca, EuroKnowledge Project, finanziata dall'Unione Europea, intesa a normalizzare i sistemi basati sulla conoscenza, ne riporta le conclusioni, che riconosce del tutto euristiche e provvisorie: la conoscenza è un qualche cosa connesso con la rappresentazione del ragionamento, cioè con meccanismi di processo che possono essere essi stessi processati come dati o come informazioni. Nel medesimo modo, non potendo stabilire un confine netto fra informazione e conoscenza, possiamo solo affermare che, in un sistema cognitivo fondato su una base di dati relazionale, ciò che chiamiano "conoscenza" è un qualche cosa che dà unità dinamica a oggetti tra loro diversi, come: fatti, relazioni, regole, schemi o reti semantiche, il che non è poi molto lontano, mi sembra, dalla soluzione che Pietro Abelardo dava, nel XII secolo, del problema degli "universali".

Il primo intervento di Eunika Mercier-Laurent [6] è più schematico ma possiede già una valenza più operativa. La conoscenza è, dice, informazione (che per sua natura è statica) vista nel suo aspetto dinamico di "rappresentazione di conoscenza" o come tipi differenti di ragionamento. Il concetto di KM include anche quelli di organizzazione, strategia, decisioni aziendali e modelli aziendali, e non ha senso separarlo da questi connotati che hanno un valore fondante, perché quando si parla di KM non si fa della filosofia, ma si cerca "semplicemente" di ottimizzare l'organizzazione e il valore complessivo di uníazienda.

Sulla medesima linea, David J. Skyrme [7] introduce senza commento una (incompleta ma paradigmatica e abbastanza auto-esplicativa) tabella baconiana di presenza:
 

Informazione
 Conoscenza
Tangibile: informa gli esseri umani Processo umano: pensiero / comprensione
Processa la rappresentazione dei cambiamenti Processa la coscienza dei cambiamenti
Oggetti fisici Oggetti mentali
Indipendente dal contesto Il contesto condiziona il significato
Entità Comprensione e intuizione
Facilmente trasferibile Il trasferimento richiede apprendimento
Riproducibile a basso costo Non riproducibile identicamente

Avron Barr [8] continua il filone comportamentistico. Citando Dan Burrus [9] di Futureview, 1989 e il John McCarty [10] di una vecchia International Joint Conference on Artificial Intelligence (IJCAI), rileva che l'informazione non diventa conoscenza finché, e a meno che, essa non venga effettivamente applicata e, anche in questo caso, solo per quanto ci è dato di conoscere del comportamento dei sistemi: possiamo creare tipi differenti di conoscenza e anche descriverne il comportamento, ma non possiamo oggettivarla. Conoscenza e informazione sono due tipi di cose del tutto diverse, e solo uno dei due può esistere, a un tempo, nelle strutture di dati o in altri artefatti. Sembra di annusare, sullo sfondo, il Principio di Werner Heisenberg: o misuriamo lo spazio o misuriamo il tempo, e il suo corollario: l'osservatore influenza il processo.

Nemmeno Denham Grey [11] vede la possibilità di una separazione netta fra i due termini, pronunciandosi piuttosto per líipotesi del continuum, con la possibilità, al massimo, di rilevare la presenza o líassenza di qualità come verità, rilevanza, contesto, novità, tempestività, eccetera, o di considerare la catena (lineare?) rappresentata dal fatto che la conoscenza di uno può essere l'informazione di un altro. Il fatto è, osserva, che abbiamo bisogno di migliori definizioni linguistiche, vista l'ambiguità prossemica di termini come apprendimento, appropriamento, conoscenza, cognizione, comprensione, padronanza, eccetera [apprehension, cognition, comprehension, grasp, ken, knowledge, learning, understanding, ].

Charles H. Green [12] introduce deliberatamente la partizione ternaria che Wiig aveva solo accennato: informazione, conoscenza e saggezza, dove la prima sarebbe un che di rozzo, brutale, non elaborato, non "agíto" da chi la riceve; la seconda sarebbe data dalla precedente elaborata in modo cognitivo, cioè trasformata in un qualche schema concettuale successivamente manipolabile e usabile per altri usi cognitivi; la terza, infine, non sarebbe che l'applicazione concreta della seconda, come un senso comune, o non comune, che "sa" quando e come usarla. Se la conoscenza, continua, connota un'azione solitaria e tendenzialmente astratta, la saggezza, invece, implica l'aggiunta dell'esperienza, sia che si riferisca a un individuo sia che a una collettività. E precisa: "Se dobbiamo parlare di KM in un contesto pratico, credo che dovremmo parlare di dialoghi, non di monologhi, cioè parlare di persone che condividono le loro esperienze per trasformare la conoscenza in qualcosa di operabile. Internet, Intranet e Groupware sono veicoli per trasformare, attraverso la condivisione, il concetto "solitario" di conoscenza in ciò che merita il termine di "saggezza"".

Gene Bellinger [13] schematizza un completamento dei concetti espressi da Green:
 

Dato rozzo, non agíto dal ricevente
Informazione i dati elaborati cognitivamente, cioè trasformati in un qualche schema concettuale successivamente manipolabile e usabile per altri usi cognitivi
Conoscenza informazione applicata, come un senso comune, o non comune, che "sa" quando e come usarla
Saggezza verità eterna distillata dalla conoscenza

Líintervento di Karl E. Sveiby [14] sui diversi significati della parola "knowledge" e sulle differenze fra le teorie di Norbert Wiener (information = structure) e di C. E. Shannon (information = chaos) chiedendosi se non sia il caso di rivedere la teoria dei sistemi cibernetici alla luce della teoria dell'informazione, provoca un serrato dialogo con la Mercier-Laurent (che, si scopre poi, è adepta di Ron Hubbard), i cui termini sono riassunti definitivamente da Alain J. Godbout [15]:

  1. Perché dobbiamo differenziare informazione da conoscenza nel KM? Sostanzialmente, a causa di tre punti di vista:

  2.  
      i) per gli ingegneri la conoscenza è un oggetto non dissimile dall'informazione, per cui la distinzione può condizionare il trasferimento tecnologico, almeno per quanto la conoscenza assuma una forma abbastanza compatibile con la tecnologia disponibile;
      ii) per i filosofi la conoscenza è un attributo umano, che distingue gli umani dalle altre entità. Da quando dati e informazioni sono divenuti trasferibili in una macchina, la domanda diventa: "Che cosa c'è di così specifico nella conoscenza da renderla abbastanza intrasferibile in una macchina?"
      iii) per i sociologi la conoscenza è parte delle risorse sociali che influenzano la ripartizione del potere, della ricchezza e delle capacità all'interno di organizzazioni e di complessi sociali. La domanda riguarda il se essa possa essere gestita, governata come già si è fatto con i dati e le informazioni.
    Bisognerebbe, propone Godbout, vedere, come in una tabella, quali attributi sono condivisi da chi e tentare una definizione unitaria.
     
  3. Esiste più di un tipo di conoscenza, il che produce tutte le confusioni, specialmente in contesti linguistici diversi:

  4.  
      i) l'inglese "knowledge", rileva il nostro, vale indifferentemente per i francesi [ma anche in altre lingue] "savoir" e "connaître", dove il primo descrive uno stato di conoscenza, un'abilità nel richiamare fatti rilevanti o nel dichiarare l'esistenza di qualcosa: è per questo che accetta altre qualificazioni come "savoir-faire" (l'inglese "know-how") per l'agire, "savoir-dire" per il parlare, "savoir-être" per l'esistere, eccetera;
      ii) la seconda traduzione francese di "knowledge" è "connaissance", usata per significare il processo dell'acquisire conoscenza e per indicare il risultato di questo processo. La differenza è chiara, umoreggia Godbout, se pensiamo che le università sono dette essere il tempio del sapere e la strada il luogo dell'apprendimento.
Se assumiamo "knowledge" nel senso di "savoir", conclude, ciò che è operabile è solo la conoscenza che può essere oggettivata: cioè la quota di "conoscenza" che può essere tradotta in "informazione". Sull'altra sponda (in Canada, per esempio, il KM è tradotto con "gestione des connaissances"), gestire le "connaissances" significa includere nel sistema la produzione del "knowledge" e non solo il suo trasferimento.

Per esempio: questo articolo (per parafrasare ancora Godbout) è un insieme di "dati", è esso stesso un "dato"; pubblicato su AIDA Informazioni e sottoposto ad attenta lettura, diventa "informazione"; sta al lettore collocare questa informazione nel contesto del suo essere e dei suoi scopi e attività per trasformarlo in "conoscenza"; e a seconda di come il lettore userà di questa conoscenza in futuro, ciò rifletterà la sua "saggezza".

Pur avendo presentato la sintesi dei messaggi in ordine cronologico, possiamo rilevare facilmente due orientamenti di base, che portano ad altrettante ipotesi di risposta: un filone tendenzialmente filosofico-gnoseologico (Wiig, Goodhall, Mercier-Laurent, Grey, Green, Bellinger, Sveiby) e uno grossomodo comportamentistico-pragmatico (Sierhuis, Skyrme, Barr). Laddove il primo seziona il termine (e il concetto sottostante) nelle sue componenti, ponendo in primo piano la situazione o il contesto, o l'obiettivo del suo uso, il secondo si preoccupa maggiormente di ricavarne indicazioni di concreta operabilità, per governare efficacemente sistemi informativo-cognitivi aziendali. Come sempre, la verità dipende dal contesto, dalle intenzioni e dal labirinto conoscitivo specifico.

Ci sembra in ogni caso importante non dimenticare che, se l'informazione è un dato entrato in contatto con il destinatario di un messaggio e da questo correttamente decodificato e altrettanto correttamente recepito, a maggior ragione la conoscenza non è un che di oggettivo, ma ancor più dipende dall'essere (e ovviamente dall'esistere) del percipiente, che ne fa un che di altamente soggettivo e, in ultima analisi, di culturale (se non: spirituale). Di questo aspetto i sistemi cognitivi aziendali dovranno particolarmente tener conto, per evitare che l'impianto di strategie KM venga ridotto all'acquisto di questo o quel sistema gestionale della "conoscenza". Un software per il KM realizza lo strumento; il KM lo creano i knowledge managers.

Va' alla prossima Scheggia


Note:
1 The Knowledge Management Forum, © 1996 Brian D. Newman
2 <http://www-scf.usc.edu/~meilich/>
3 <http://www.krii.com/>
4 <http://ic.arc.nasa.gov/ic/maartens.html>
5 <http://aiintelligence.com/aii-home.htm>
6 <http://www-irc.isep.fr/friends/EML.HTM>
7 <http://www.skyrme.com/>
8 <http://www.stanford.edu/group/scip/>
9 <http://www.burrus.com/samplepredictions.html>
10 The representation hypothesis, IJCAI 1979, Tokyo <http://www.ijcai.org/>
11 <http://members.iquest.net/~dgrey/>
12 <http://www.wp.com/greensea>
13 <http://www.outsights.com/>
14 <http://www.sveiby.com.au/>
15 <http://www.magi.com/~godbout/profil/cvalain.htm>
Bogliolo - 2000-03-23