AIDA Informazioni |
ISSN 1121-0095, trimestrale
anno 20, numero 1, gennaio-marzo 2002 |
Il knowledge management come risorsa nel governo delle organizzazioni complesse è stato al centro di una tappa dell'Itinerario di incontri "Dialoghi sulla governance nel contesto della globalizzazione", ciclo di conferenze organizzato dal Gruppo CERFE (www.gruppo-cerfe.org), attivo da anni nel campo della cooperazione internazionale con i Paesi in via di sviluppo, il 28 gennaio scorso a Roma.
Punto centrale dell'incontro Il Knowledge Management nella società della conoscenza: una risorsa per gli attori della governance è stato l'intervento di uno dei massimi esperti internazionali (e uno dei "padri" storici del KM), Laurence Prusak, attualmente executive director dell'Institute for Knowledge Management (IBM Global Service), il quale, nella sua conferenza, ha dato i "fondamentali" di una teoria che mette al centro della necessità di governo da parte di organizzazioni complesse la "gestione" della conoscenza. Il suo ragionamento è partito da un'analisi sintetica del concetto di globalizzazione, accentuando, fra i tanti aspetti racchiusi in questa espressione, la diffusione delle conoscenze tecniche a livello mondiale e il conseguente orientamento delle economie verso attività prevalentemente intellettuali (fino all'estremo esempio degli Stati Uniti dove, a fronte di un 2% della popolazione impegnata in agricoltura, il 70% è dedita ad attività che hanno a che fare con la conoscenza).
Non è la produzione materiale, ribadisce Prusak, ma quella intellettuale a diventare la vera ricchezza del mondo contemporaneo: intorno alle competenze e alle attitudini, alla capacità di lavorare in gruppo per produrre creatività e quindi nuova conoscenza, si gioca la partita dello sviluppo e della competitività, non solo nel campo della produzione economica in senso stretto, ma in tutte le organizzazioni, siano esse di ricerca, educative e no profit. In questo scenario egli colloca il suo ragionamento intorno alla necessità di intendere la conoscenza come una risorsa strategica, un potenziale che va sviluppato, indirizzato, governato ai fini del raggiungimento degli obiettivi delle organizzazioni.
Ma come si esprime la conoscenza? Secondo Prusak una prima parte di essa, quella che viene definita conoscenza esplicita, si rintraccia nella documentazione (libri, riviste, materiale audiovisivo, elettronico, etc.) e in tal senso biblioteche e centri di documentazione sono i più grandi depositi di conoscenza e i bibliotecari e documentalisti sono i gestori di questa parte di conoscenza.
Rimane fuori, da questi raccoglitori di conoscenza, quella che nel linguaggio del knowledge management viene definita la conoscenza implicita, quell'insieme cioè di attitudini, capacità, rapporti, esperienze, contatti di cui ogni individuo è portatore insieme alle sue competenze specifiche (che derivano dall'aver avuto accesso alla conoscenza esplicita). L'amalgama di queste conoscenze genera il sapere complessivo dell'individuo, che ne fa un essere unico e irripetibile portatore di ricchezza all'interno dell'organizzazione. Il segreto dello sviluppo, secondo Prusak, sta nell'incentivare questo insieme di individui a collaborare e a creare quindi all'interno delle organizzazioni delle comunità di conoscenza. La vera conoscenza infatti, a suo giudizio, non sta nell'impresa e nemmeno nei singoli, ma nei gruppi che riescono a scambiare i saperi individuali e a creare nuova conoscenza. Il gruppo quindi, e non il singolo, al centro dell'impresa, in una organizzazione del lavoro che non risponde più alla logica del comando/controllo di impianto fordista, ma a quella della comunità/reti, tipica del XXI secolo.
Come governare questi processi di sviluppo della conoscenza? Sappiamo come trasferire le conoscenze esplicite; più difficile è trovare una via per trasferire, e quindi insegnare, le porzioni di conoscenza implicita, quella che nella bottega artigiana si insegnava attraverso il contatto, l'imitazione, l'esempio, l'apprendistato.
Daniele Mezzana, direttore scientifico della Scuola di Sociologia e di Scienze Umane sempre facente capo al Cerfe, nel suo intervento ha illustrato come il Cerfe stesso stia operando al proprio interno secondo le logiche illustrate sopra: portare il knowledge management all'interno di un'organizzazione per la produzione di ricerca scientifica, dove il ricercatore (produttore della conoscenza) e il bibliotecario/documentalista (gestore della conoscenza) hanno pari dignità e lavorano insieme all'interno di attività di ricerca. Alla fine si tratta di sviluppare processi organizzativi orizzontali al posto di modelli gerarchico-verticali. Conta soprattutto, ricorda Mezzana, il fatto che il KM non sia una tecnologia fine a se stessa, ma debba essere utilizzata per agire sul mondo, per trasformare l'economia e la società, così come la conoscenza viene sempre, in ogni caso, solo attraverso l'azione e non per via contemplativa.
Mentre l'intervento di Dario de Judicibus, Knowledge Management Senior Consultant (IBM Global Service), ha posto l'accento su quanto realizzato su questo versante, ribadendo con ciò il valore strategico che il KM deve avere per qualsiasi organizzazione, la relazione di Lucio Biggero, docente di Organizzazione Aziendale (Università LUISS), ha analizzato i meccanismi di formazione della conoscenza, sottolineando che essa deve intendersi come il risultato di un'attività relazionale piuttosto che come un deposito reificato di informazioni conservate in un qualsiasi magazzino, non importa se reale o virtuale. In questo contesto, ha osservato, è importante vedere la conoscenza come "scintilla" che scocca solo quando si presentano differenze di "potenziale": in una parola, la conoscenza nasce dalla presa di coscienza delle differenze.
Il dibattito, che ha seguito le relazioni, è stato condotto da Domenico Bogliolo dell'Università di Roma "La Sapienza": dalla sua introduzione si sono ripresi temi quali la possibilità che la società moderna stia riscoprendo un nuovo umanesimo, una nuova centralità delle capacità umane a scapito della cieca fiducia nelle tecnologie, e s'è anche stimolata la discussione sulla effettiva possibilità di governare un fenomeno così complesso e squisitamente culturale - e quindi spirituale - com'è la conoscenza. Di qui le valenze di natura etica che non possono non interessare le realizzazioni di KM, ben al di là della pura opportunità economica o tecnologica: sono anzi quelle che dànno il fondamento di queste.
Tra gli intervenuti nel dibattito, Giancarlo Quaranta, presidente
del Cerfe, ha testimoniato il dover essere di una corretta gestione della
conoscenza: non come strumento di potere ma, al contrario, come strumento
di liberazione di energie oltre che come strumento di ricerca.