AIDA Informazioni |
ISSN 1121-0095, trimestrale
anno 20, numero 2-3, aprile-settembre 2002 |
Ora, se gli epistemologi - per dirla con Davenport e Prusak [4] - concentrano le loro analisi teoriche sulla comprensione del significato della conoscenza, è pur vero - aggiungono - che la gestione della conoscenza all'interno delle organizzazioni ha, più che altro, necessità di definizioni operative; è però altrettanto vero - aggiungiamo - che queste abbisognano di quelle, non solo per "funzionare" correttamente, ma anche per chiarire all'operatore della conoscenza l'àmbito entro il quale queste stesse definizioni operative acquistano senso e valore.
Proveremo inizialmente a ritagliare qui, poco più che indicativamente, dal complesso delle citate ricerche ispirate da Paolo Bisogno, un profilo unitario, insieme epistemologico e operativo, della modellizzazione e della categorizzazione della conoscenza, che possa esserci di aiuto per chiarirci quali siano i nuovi confini conoscitivi che il KM sottende pur nelle prassi quotidiane [5].
Per restare nell'àmbito aziendalistico, il primo dato dal quale ci è comodo partire è la crisi tendenziale, che è dei nostri tempi, del modello cosiddetto "tayloristico" dell'organizzazione (non solo aziendale), e il fatto che con il suo progressivo uscire di scena se ne stia anche andando (o cominci a mostrare la corda anche se, si deve riconoscere, il "vecchio" modello resiste assai bene...) una parallela concezione del mondo fondata su modelli di conoscenza configurata come un sistema chiuso, nel quale le interazioni del soggetto percipiente con la realtà cosiddetta esterna sono salde, sono note, certe, e perfettamente conoscibili.
L'informazione-conoscenza, univoca per definizione, cala dall'alto, nella struttura gerarchica top-down "a fittone", mantenendosi sempre coerente con se stessa fino all'ultima ruota del carro. È una concezione che, dal punto di vista gestionale, consente di instaurare e mantenere più o meno immutato nel tempo il medesimo rapporto fornitore-cliente (o, se si preferisce, governo-sudditi o clero-fedeli o anche autore-lettore o docente-discente, bibliotecario-utente, e simili) e nel quale un lungo ciclo di vita dei prodotti e dei servizi consente pianificazioni del mondo anche per tempi considerevolmente lunghi. È la concezione dell'interazione fornitore-cliente chiamata della mass production contro l'attuale concezione, indotta dalla globalizzazione, della mass customisation.
Non si tratta, a ben vedere, che di una traduzione operativa dell'antico sistema logico deduttivo che Frege [6] ha contribuito a formalizzare, e che serve per creare ordine tra i dati della conoscenza che altrimenti, e di per sé, apparirebbero essere solo un coacervo di "cose" sparse e disomogenee. Qui la conoscenza è organizzata in modo assiomatico per cui, individuate alcune proposizioni fondamentali, tutte le altre ne derivano logicamente e, tolte quelle, l'intero edificio crolla. Questo sistema, che ha fornito per qualche millennio il modello corrente della conoscenza, possiede tuttavia alcune caratteristiche che agli occhi contemporanei appaiono come difetti: non sa rappresentare adeguatamente le conoscenze in evoluzione [7] né quelle incoerenti (che anzi distruggono il sistema) né, tanto meno, sa dar conto delle interazioni dinamiche tra sistemi diversi e nemmeno può venir esteso per stadi o moduli successivi. È anche, un po', il sistema dell'intelligenza artificiale "vecchia maniera", tipico di una fase ispirata più alla cibernetica classica che alle scienze dell'informazione [8], e che sa quindi, a onta dei meccanismi di retroazione, gestire solo conoscenze statiche (relative a uno stato di cose fissato con regole immodificabili) e concentrate (ciascuna relativa a un unico sistema di cose e a un unico sistema di regole).
Sistema - e mondo - chiuso, dunque, contro sistema - e mondo - aperto.
Abbiamo elaborato nella tabella che segue una sintesi delle principali
contrapposizioni.
|
|
Deduzione assiomatica
Riduzione del numero dei dati L'incoerenza distrugge il sistema Linguaggio e princípi prefissati Ipotesi non modificabili La soluzione del problema è un processo finito Si gioca a regole fisse Logica matematica [9] Logica dell'oggetto Teorema di completezza di David Hilbert [10] Macchina di Turing [11] Meccanica dei solidi Struttura a fittoni Non scambia informazioni con l'esterno Conoscenze statiche Conoscenze concentrate Non modellizzazione del passaggio del tempo Sistema monologico Interpreta il pensiero Hard computing Mass production Ecc. |
Induzione analitica
Accettazione di dati incoerenti L'incoerenza arricchisce il sistema Di prefissato c'è solo il problema Ipotesi modificabili Il processo di soluzione è potenzialmente infinito Si gioca per cambiare le regole Logica computazionale [9] Logica della navigazione Teorema di incompletezza di Kurt Gödel [10] La "nuova macchina" Meccanica dei fluidi Struttura a rizomi Scambia informazioni con l'esterno Conoscenze dinamiche Conoscenze distribuite Modellizzazione del passaggio del tempo Sistema dialogico Interpreta la storia Soft computing Mass customisation Ecc. |
A differenza dei sistemi chiusi, infatti, i sistemi aperti (l'analogia più evidente è con gli esseri viventi) non si basano su assiomi ma su ipotesi analitiche che possono cambiare con lo sviluppo del sistema stesso. Per l'organizzazione il capovolgimento è rivoluzionario: le regole stesse non sono definite ma, in più, possono (anzi, devono) cambiare nel corso del gioco, per cui è opportuno che tutti i limiti siano trasgrediti, se non altro perché, per definizione, assolutamente parziali e bisognosi del confronto e della negoziazione con altri limiti e con altri sistemi. E, ciò che più conta per il nostro argomento, è il fatto che nei sistemi aperti non si assume che tutta la conoscenza sia concentrata in un unico sistema, ma si ammette che essa possa essere distribuita tra più sistemi (gerarchia "a rizomi") e quindi che la comunicazione, la cooperazione e l'interazione tra sistemi svolgano un ruolo essenziale.
Questa visione del mondo complica certamente le cose per un amministratore "tradizionale" della conoscenza, ma appare più verosimile: senza rievocare il dottor Faustroll, si direbbe trattarsi di una specie di sistema patafisico, alla ricerca del particolare, del governo delle eccezioni, le cui soluzioni non sono, però, immaginarie, ma solo del tutto governabili, perché non siamo nel regno della metafisica ma in quello della pragmatica.
Ad ampliare il campo delle analogie esplicative ci aiutano due veloci scorribande nella linguistica e nella neurobiologia.
Anche la morfogenesi linguistica sta infatti superando la meccanicità del modello cibernetico della lingua, intesa come "scambio di segnali", mezzo rappresentativo simbolico - e largamente oggettivo - di comunicazione, frutto di un coordinamento convenzionale fra segno e significato, a vantaggio di un suo fondamento pre-linguistico, psicologico, risultato di un evento fisico, concreto, percettivo, un "linguaggio dei sensi" modificabile nel tempo già prima della distinzione soggettiva fra il percipiente e l'oggetto percepito e quindi prima di qualunque distinzione tra linguaggio, pensiero e realtà. Il pensiero si articolerebbe, insomma, in un contenuto mentale libero, non determinato, figurale, che solo successivamente l'ideologia (o le false coscienze) della rappresentazione tradurrebbe in forme oggettivate. È dunque di questo "caos" intenzionale che dobbiamo tener conto prima di affermare nuove categorie per una più o meno certa interpretazione del mondo e, di conseguenza, per un ridisegno efficace dell'organizzazione.
Le impostazioni anti-oggettivistiche della neurobiologia cognitiva sono, dal canto loro, altrettanto radicali [12], criticando la concezione tradizionale del sistema "chiuso" per la quale è l'azione che dipende da rappresentazioni interne, e non viceversa (com'è invece per la concezione del sistema "aperto") o il fatto che le rappresentazioni mentali rispecchino "stati di cose" oggettivi del cosiddetto "mondo esterno" o ancora che le rappresentazioni siano codificate in formati linguistici statici interconnessi mediante precise regole di composizione logica o, infine, che il "linguaggio del pensiero" venga elaborato dai soli organi centrali in séguito a informazioni raccolte indipendentemente dai singoli organi sensoriali.
Nei sistemi chiusi, insomma, bisogni ed emozioni potevano sì accompagnare o alterare le rappresentazioni e il ragionamento, ma essi non figurano tra i loro elementi costitutivi [13], mentre nel modello del sistema aperto viene superata la separazione fra l'individuo e l'ambiente, fra la mente e il corpo, al di là di un sistema informativo gerarchico, condiviso e lineare, per un sistema policentrico, interconnesso, cooperativo, per il quale la realtà non è vista come un fatto, ma come un processo in continua trasformazione e dove dell'attività razionale sono evidenziate soprattutto le componenti pre-logiche.
Per applicare i fondamenti di queste differenti concezioni del mondo nella nostra organizzazione "cognitiva" e che, quindi, "apprende", c'è allora bisogno di disegnare un nuovo modello dei flussi informativi, insieme con i meccanismi di presa delle decisioni, che faccia salva la crescente valenza economica della nozione di conoscenza, insieme con una descrizione più efficace dei processi di comunicazione aziendali.
Ma come funziona il sistema aperto comunicante? Deriviamo da Piero Pagliani
(Categorie…, 2000) una rappresentazione grafica che abbiamo
già usato altrove.
Problemi di determinazione |
Problemi di scelta |
Il primo schema presenta la situazione "classica" che abbiamo qui già descritto a proposito del sistema-Taylor, e che ci sembra non necessiti di ulteriori chiarimenti, a parte il notare che si tratta anche del medesimo modello della cosiddetta "macchina di Turing" che sta a fondamento di tutta la scienza del calcolatore, con la sua architettura "pulita" di ingresso-elaborazione-uscita e nella quale si presuppone che l'elaborazione riceva input completi rispetto al problema e prosegua imperturbabile fino alla (eventuale) soluzione esatta.
Ma chi ci salva se quei dati di input e le risorse di calcolo e le stesse interazioni con l'ambiente sono incompleti, inesatti, contradditori, sono oggetto di selvagge negoziazioni, cambiano nel tempo e, magari, adottiamo la neurobiologia cognitiva e la linguistica figurale? Quali soluzioni trovare? Insistere a voler adattare la rigidità dell'organizzazione cercando di "proceduralizzare", per quanto possibile, almeno qualche prassi informale e quindi sfuggente (con il rischio di pervenire a una pericolosa atrofia dell'organizzazione) o gettare, disperando, la spugna e lasciar fare il fattibile e lasciar gestire il gestibile (con il rischio dell'anomia organizzativa)? La terza soluzione (il secondo schema di cui sopra) consiste nel puntare decisamente sul ruolo centrale da far assumere al processo di interpretazione del messaggio, visto come un processo aperto, basato sui concetti di:
Volendo salire qualche gradino nelle teorie cognitiviste alla ricerca di altri puntelli, soccorrono, tra le altre possibili, le elaborazioni di Peirce [15] e di Varela [16] riguardo, rispettivamente, alla "teoria dell'interpretante" e al concetto di "conoscenza come enazione" (enacting: attivazione). L'uomo, sostiene Pierce, non sta in un rapporto frontale con il mondo, come un soggetto spirituale di fronte a un oggetto materiale, ma ogni rapporto fra l'uomo e il mondo - e con se stesso e con gli altri uomini - è sempre frutto di un'interpretazione dei segni costitutivi del mondo: si formulano allora ipotesi plausibili, probabilistiche, valide in àmbiti ristretti, ci si confronta con la comunità dei percipienti, si elaborano e si modificano interpretazioni vagliando gli antecedenti e i conseguenti di un complesso di segni finché si trova l'interpretazione temporaneamente e funzionalmente più valida, e il processo ricomincia.
Varela e la Scuola di Santiago, dal canto loro, sottolineano come l'atto del percepire non consista in una reazione passiva all'insorgere di stimoli esterni o in una registrazione dell'informazione ambientale esistente al fine di ricostruire realisticamente una parte del mondo fisico: il percepire è invece un'attività vitale (enacting) del soggetto che attribuisce, grazie alla situazione sensoriale e motoria del suo sistema nervoso, valori di realtà che hanno importanza, soprattutto, per il proprio vissuto, per la propria coscienza. Ciò darebbe inizialmente alla realtà virtuale il medesimo grado di realtà (non: di verità) di quella materiale. Nell'approccio enattivo - afferma Varela - la realtà non è un dato: essa dipende dal percipiente, non perché la si costruisca per capriccio, ma perché ciò che conta come mondo rilevante è inseparabile da ciò che è struttura del percipiente [17].
Se l'interpretazione dipende da un interpretante - nota Pagliani - allora il significato stesso del messaggio risulterà essere costituito da una rete di interpretanti, o meglio dall'interazione di più reti di interpretanti che possono anche essere in disaccordo o, comunque, non in sintonia: è il caso ben noto del conflitto dei ricettori e/o il conflitto emittente-ricettore. È come se alla domanda - aggiungiamo - «che cos'è la realtà?» rispondessimo a pieno diritto: «se ne discute!».
È questa la "nuova" logica dell'organizzazione, richiesta dalla corretta applicazione di strategie di KM. Insomma, ancora una volta è il "buon governo" dell'immanente, del metamorfico, del fantasmatico e dell'irriducibile di ciò che il KM chiama "conoscenze tacite o implicite" a determinare il successo o il fallimento dei metaprocessi gestionali [18], al punto da pretendere autentiche e spesso dolorose (e costose e niente affatto sicure) rivoluzioni organizzative. È l'evoluzione della logica, ci si chiede, a questo punto, a indurre mutamenti nell'organizzazione della realtà, o sono le esigenze organizzative aziendali a favorire l'insorgere di nuove frontiere computazionali? Semiologicamente, non è necessario rispondere...
Ma c'è di più. La logica della Rete (Internet, per intenderci, che è, in definitiva, la "nuova macchina" che prende il posto di quella di Turing) esige livelli d'integrazione del lavoro collaborativo che presuppongono strutture d'informatica distribuita tali da "costringere" la stessa "monolitica" intelligenza artificiale a rifondarsi su una strategia di "unione disgiunta di sistemi" come, per esempio, una rete di "agenti intelligenti" cooperanti - anche caoticamente o, almeno, in ordine sparso - tra di loro. Vi abbiamo accennato nella nostra seconda scheggia .
È l'organizzazione stessa a diventare, a questo punto, uno spazio ipermediale navigabile, sia pur in modo intelligente, in modo guidato [19]. Lo stesso Nonaka teorizzava l'organizzazione ipertestuale come risposta ottimale per una KM produttiva. Una "società della mente", insomma, nella quale non sono più, allora, i frammenti d'informazione a essere risolutori, ma lo è il sistema stesso di navigazione. Il "navigare" diviene preminente sul guadagnare un porto (è, tra l'altro, la rovinosa interpretazione romantica dell'Odissea). Non gli oggetti percepiti, ma l'atto del percepire, non le interpretazioni del mondo, ma il processo interpretativo. Nelle epoche soggettive, diceva Goethe spiegando l'epistemologia, non interessa il panorama che sta al di là della finestra, ma l'attenzione è posta sul telaio stesso della finestra che incornicia il panorama... Chi è famigliare con il pensiero indù sa che cosa significhi dire che la nuova logica, della navigazione invece che dell'oggetto, è la logica dei nostri e prossimi tempi: la logica della "femmina", che tende a vivificare qualsiasi sistema, la logica del Kali Yuga...
Note
Le URL segnalate sono state controllate il 31 luglio
2002
1 Per questo, si veda La conoscenza scientifica: un sistema in evoluzione del 3 ottobre 2001, giornata di studio del CNR in commemorazione di Paolo Bisogno <www.isrds.rm.cnr.it/seminari/P.Pisogno>, recensita anche su "AIDAinformazioni" 4/2001, p. 8-12. Gli atti del convegno sono stati parzialmente pubblicati nel 2002 dal CNR-ISRDS nella serie "Note di studio sulla ricerca; 32", che contiene anche il citato resoconto di Alessandra Convertini e Maria Pia Carosella per "AIDAinformazioni".
2 Il progetto che dà la cadenza alle varie iniziative appare delineato da Bisogno fin da principio:
3 La decisione non può essere presa senza conflitti perché attiva concezioni del mondo di diversa ispirazione e dipendenti da un punto di vista posto molto in alto sull'orizzonte, come: oggettività della conoscenza, indipendenza dell'oggetto osservato dal soggetto osservante, neutralità della scienza, possibilità di posizioni "impolitiche" (alla Thomas Mann...) eccetera, da una parte, contro il loro contrario, dall'altra.
4 Pagina 6 dell'edizione italiana di Thomas H. Davenport e Laurence Prusak, Working knowledge. How organizations manage what they know, Boston: Harvard Business Scholl Press, 1998, trad. it. di Giacomo Negro: Il sapere al lavoro. Come le aziende possono generare, codificare e trasferire conoscenza, Milano: Etas, 2000.
5 È ovvio che le opere segnalate nella nota 2 non ricoprano esattamente il ristretto campo della nostra ricerca; in esse il tema dell'organizzazione delle conoscenze vi è affrontato in un'ampia pluralità di punti di vista e in un quadro problematico complesso, per il quale sono possibili differenti chiavi di lettura: per esempio, la proposta di un modello originale (come il "Sistematificatore" della Dahlberg dell'ISKO - International Society for Knowledge Organization - per l'ordinamento dei concetti in un determinato campo di conoscenza, ripreso e innovato da Negrini e collaboratori) è ancorata su un campo interdisciplinare composto da riflessioni logiche, linguistiche, filosofiche, psicologiche, epistemologiche e ontologiche. In particolare, anche se non li citeremo tutti direttamente, faremo qui soprattutto ricorso, ritagliando convenientemente il nostro profilo, al complesso dei seguenti contributi:
7 Il modello di rappresentazione del movimento che sa fornire è illusorio e di tipo cinematografico, come la sequenza dei singoli fotogrammi che si succedono nel film che scorre nella macchina da proiezione.
8 In questa direzione
va la definizione originaria di informatica (la parola, che fonde information
con automatique, è di origine francese - primato che ne è
l'orgoglio - coniata nel 1962 da Philippe Dreyfus, ingegnere della
Bull, in una seduta dell'Association Française de Calcul et
Traitment de l'Information, e successivamente documentata in una
lettera pubblicata in "Informatique et gestion", 100, ottobre, 1978, ISSN
0020-062X) poi adottata dall'Académie Française che
nel 1966 la presentava come «scienza del trattamento razionale,
prevalentemente mediante macchine automatiche, dell'informazione
considerata come il supporto delle conoscenze umane e delle comunicazioni
nei dominii tecnici, economici e sociali» (questo in <www.linux-france.org/prj/jargonf/I/informatique.html>
e altrove ma vent'anni dopo, nella nona edizione in linea del dizionario
<www.academie-francaise.fr/dictionnaire>,
la definizione è mutata in: «scienza del trattamento razionale
e automatico dell'informazione»; sarebbe interessante verificare,
tra un po', come cambieranno le definizioni operative dell'informatica
in sèguito alla nuova edizione...) [grassetto e traduzioni nostre].
Per una sintetica chiarificazione generale sul tema dei
rapporti cibernetica-informatica, pur se sviluppata a partire da esigenze
specifiche - nel caso, giuridiche (ma qualunque applicazione cosciente
fa obbligatoriamente ridiscutere le premesse) - e per un commento all'edizione
1966 del dizionario dell'Académie, può risultare utile la
recensione di Costantino Ciampi alla seconda edizione (1973) di Cibernetica
diritto e società di Vittorio Frosini (prima ed., Milano: Edizioni
di Comunità, 1968), originariamente pubblicata sul "Bollettino bibliografico
d'informatica generale e applicata al diritto", anno II, n. 3-4, luglio-dicembre,
1973, p.127-132 e recentemente riproposta nel numero speciale, dedicato
a Vittorio Frosini, di "Informatica e diritto", XXVII annata, seconda serie,
vol. X (2001), n. 2, p. 11-21. La parte che può riguardarci è
contenuta nel terzo paragrafo della recensione, nelle p. 13-19 della ristampa.
9 Semplificando: se
la logica è teoria dell'inferenza (le condizioni di
correttezza formale di un ragionamento), e se la logica classica
s'impegna a classificare proposizioni elementari raggruppandole in alcune,
non esaustive, categorie fondamentali caratterizzandosi, quindi, come una
logica del contenuto così com'è espresso in linguaggio naturale,
la logica matematica (o formale o simbolica o - con un termine unico
- logistica) si preoccupa più di definire i fondamenti della matematica
costruendo un linguaggio ideale e astratto dai significati, ponendosi così
in grado di potenziare l'operabilità algebrica del lato deduttivo
della logica classica. Differente è la prospettiva della logica
computazionale che, utilizzando direttamente la logica stessa come
linguaggio di programmazione, vi introduce un orientamento ai sistemi informativi,
con le connesse esigenze operative delle "prese di decisione" e consentendo
così all'intelligenza artificiale - in una sua formalizzazione sempre
più spinta come teoria dei sistemi aperti comunicanti - di limitarsi
a definire l'oggetto di una decisione da prendere, senza dover preventivamente
stabilire come questo risultato debba essere calcolato. La qualifica "computazionale",
sia detto per inciso, viene oggi attribuita a nuove e diverse discipline,
dalla
psicologia alla filosofia alla linguistica, per l'elaborazione automatica
di cómpiti intelligenti, cioè per riprodurre in una macchina
il comportamento umano.
Già che ci siamo, e trascurando altre logiche:
utili contributi alla scienza dell'organizzazione nel senso indicato dal
KM - come, in generale, al complesso delle scienze umanistiche - vengono
dalle applicazioni della logica fuzzy, o logica degli insiemi
confusi, sfumati, incerti, per i quali non è tassativa l'appartenenza
di un elemento a un determinato insieme, ma ogni elemento possiede un "valore
di appartenenza", che varia da 0 a 1, per cui gli insiemi "classici", di
Eulero-Venn per intenderci, diventano un caso particolare degli insiemi
fuzzy.
Per questa logica non sono quindi validi i principi di non contraddizione
e del terzo escluso, caratteristici di tutta la logica bivalente, da Aristotele
in poi. Su web: Introduzione alla logica fuzzy di Antonella
Faggiani, 1997 <brezza.iuav.it/~faggiani>,
che cita a contrario la ripulsa di William Kahan (Università
di California a Berkeley): «La teoria fuzzy è errata; errata
e perniciosa. Abbiamo bisogno di più pensiero logico, non di meno.
Il pericolo della logica fuzzy è che incoraggi quel genere di pensiero
impreciso che ci ha creato tanti problemi. La logica fuzzy è la
cocaina della scienza».
10 David Hilbert vedeva
la matematica come un puro gioco formale, giocato, diceva, su un foglio
di carta con segni di per sé privi di significato: indifferentemente
piani e punti oppure tavolini e boccali di birra...; l'importante era assumere:
a) che qualche cosa fosse fondamentale, postulati o assiomi
accettati i quali, e fissate le regole di trasformazione, i teoremi sarebbero
stati deducibili in modo legittimo e corretto; b) che le relazioni tra
i nostri piani e punti fossero le medesime intercorrenti fra tavolini e
boccali di birra. Era quindi sufficiente che non vi fosse contraddittorietà
interna perché valesse il principio di completezza sintattica (ogni
formula del sistema è dimostrabile o refutabile). Contro questo
formalismo Kurt Gödel dimostrò che all'interno di ogni sistema
esistono proposizioni che esso non riesce a "decidere", non riesce cioè
a darne una dimostrazione né di verità né del loro
contario; in particolare, non era decidibile proprio la proposizione relativa
alla non-contraddittorietà del sistema, portando così al
fallimento il programma di formalizzazione di Hilbert. Per soddisfare alle
condizioni imposte dal teorema di incompletezza di Gödel sembra indispensabile,
nota Cellucci, sostituire la nozione di sistema chiuso con quella di sistema
aperto.
Per un orientamento su Gödel: <www.netmeta.com/archivio/schede/godel.htm>
oppure, per un orientamento su Bertrand Russel e il complesso di questi
problemi: <www.netmeta.com/archivio/schede/russell.htm>
11 Su Alan Mathison Turing ci limitiamo a proporre la ricca Alan Turing Home Page di Andrew Hodges <www.turing.org.uk/turing > e, in italiano, l'intervista del 1998 a Maria Luisa Dalla Chiara pubblicata dalla RAI per MediaMente su <www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/d/dallachi.htm> dal titolo Dalla macchina ideale di Turing ai computer reali. Di Turing in libreria: Intelligenza meccanica, a cura di Gabriele Lolli, Torino: Bollati Boringhieri, 1994.
12 Neurobiologi come il "neo-darwiniano" Gerald M Edelman e l'"anti-cartesiano" Antonio R. Damasio intervengono, globalmente, per negare che:
13 Abbiamo già analizzato una situazione simile contestando la "vecchia" concezione dell'informazione "cenerentola aziendale", vista solo come sottoprodotto della produzione di beni e servizi, invece di elemento costitutivo dell'intera organizzazione: Rebecca O. Barclay, Philip C. Murray. It's all in your head. The new common sense for 21st century business productivity, in "KM Metazine", Issue 1, <www.ktic.com/topic6/KMHEAD.HTM >, citato nella nota 2 del nostro KM, Knowledge Management - 1/3, in "AIDAinformazioni", 2/1998, anche disponibile online su <www.aidainformazioni.it/pub/km1.html >.
14 Karl Ludwig von Bertalanffy elaborò la sua teoria generale dei sistemi negli anni '30 ma soltanto negli anni '50 essa pervenne all'attenzione degli studiosi di scienze umane, come tentativo di superamento del rigido modello meccanicistico di causa-effetto tipico delle scienze naturali. In italiano: Teoria generale dei sistemi: fondamenti, sviluppo, applicazioni, trad. di Enrico Bellone, Milano: Mondadori, 1983. Su web, una pagina praticamente ufficiale: <bertalanffy.iguw.tuwien.ac.at/sites/indexexinl.html>.
15 Di Charles Santiago Sanders Peirce in italiano: Scritti di filosofia, Bologna: Cappelli, 1978 poi Milano: Fabbri, 1997; Scritti di logica, Firenze: La Nuova Italia, 1981; Le leggi dell'ipotesi, Milano: Bompiani, 1984. Dal mare del web semiologico proponiamo solo l'articolo di Fernanda Spina Charles Sanders Peirce: semiotica e conoscenza, pubblicato su <www.filosofia.unina.it/tortora/sdf/Quattordicesimo/XIV.9.html> e l'intervista con Carlo Sini a cura della RAI per l'Enciclopedia delle scienze filosofiche, 1992 <www.emsf.rai.it/interviste/interviste.asp?d=522>.
16 Il cileno Francisco J. Varela, allievo del compatriota "socio-biologo" Humberto R. Maturana <www.inteco.cl/biology >, si è occupato (fino alla morte nel 2001, a 54 anni) di un continuum che va dall'immunologia alle neuroscienze alle scienze cognitive all'intelligenza artificiale all'epistemologia (si direbbe che l'approdo all'epistemologia sia ormai di gran moda). Su web è fondamentale la sua home page <web.ccr.jussieu.fr/varela> mentre, in italiano, segnaliamo l'articolo di Giovanna Pagano, Il marchio enattivo della Realtà Virtuale. Applicazione della teoria enattiva della cognizione nella spiegazione della conoscenza umana dei mondi virtuali <www.noemalab.com/sections/ideas/ideas_articles/pagano.html> il cui webmaster ha dimenticato di apporre le note al testo, e l'intervista a cura della RAI per l'Enciclopedia delle scienze filosofiche, 2001 <www.emsf.rai.it/interviste/interviste.asp?d=452> che riporta una bibliografia imprecisa che così integriamo: Autopoiesi e cognizione: la realizzazione del vivente (con Maturana), Venezia: Marsilio, 1985; L'albero della conoscenza (con Maturana), Milano: Garzanti, 1987; Scienza e tecnologia della cognizione, Firenze: Hopeful Monster, 1987; La via di mezzo della conoscenza: le scienze cognitive alla prova dell'esperienza , Milano: 1993; Un know-how per l'etica, Roma-Bari: Laterza, 1992.
17 Varela, Un know-how per l'etica, cit., p. 16; più in generale: Varela, Il reincanto del concreto, in Il corpo tecnologico, Bologna: Baskerville, 1994, p. 143-159.
18 Tanto la cosa è importante per le organizzazioni che la gestione della diversità (etnica, linguistica, religiosa, sessuale, culturale, eccetera) è diventata un capitolo non secondario dell'economia aziendale. Vi accenniamo in un'altra parte [Manifestazioni dopo] di questo medesimo fascicolo.
19 Si apre qui, a ben
vedere, una dialettica potenzialmente drammatica fra le esigenze "libertarie"
della navigazione e quelle "repressive" - o comunque organizzative e dirette
a uno scopo - del controllo. Anche nelle applicazioni del KM più
"da sistema aperto" (come indicate da Nonaka e Takeuchi in The
Knowledge-Creating Company, Oxford University Press, 1995. Trad. it.
The
knowledge creating company. Creare le dinamiche dell’innovazione, Milano:
Guerini e Associati, 1997, ISBN 88-7802-816-9), il K manager interviene
attivamente (e, soprattutto, saggiamente) in ogni fase dei processi di
socializzazione, esteriorizzazione, combinazione, per garantire l'aderenza
della creatività, propria della conoscenza tacita, ai fini dell'organizzazione
senza però diminuirne la portata creativa e, quindi, potenzialmente
distruttiva, secondo il principio che l'ordine non può nascere che
dal caos…