Prefazione a J-C. Guédon, Per la pubblicità del sapere

Bollettino telematico di filosofia politica

La versione pdf zippata (781 KB) del volume cartaceo è disponibile qui. Il testo di Guèdon può essere letto on-line a questo indirizzo http://bfp.sp.unipi.it/rete/oldenburg.htm

Methexis, nel linguaggio platonico, designa il rapporto di partecipazione fra le idee e gli oggetti cui esse si applicano. Anche lo scopo del progetto Methexis è la partecipazione delle idee, non tanto in senso metafisico, quanto in senso politico-culturale. Le idee possono vivere solo se sono lasciate libere, così da poter essere condivise, discusse e propagate. La vita della scienza, come non può essere soggetta a censura politica, così non deve essere sottoposta a recinzioni derivanti dall'estensione della proprietà privata al mondo dello spirito. Le nuove tecnologie rendono possibile mettere in atto la distinzione fra il libro come oggetto fisico, di proprietà privata, e le idee di cui si fa veicolo, che devono essere liberamente partecipate. In questo spirito, i libri Methexis sono commercializzati, nella loro versione cartacea, secondo le restrizioni abituali, ma, nella loro versione digitale, sono distribuiti in rete e possono venir riprodotti per ogni uso personale e non commerciale.


Chi lavora nel mondo della ricerca ha bisogno di pubblicare. Dalle pubblicazioni preferibilmente per editori e riviste prestigiose dipendono per lo più le carriere accademiche. Come autore, l'umanista impara ben presto che le pubblicazioni scientifiche tradizionali - eccezion fatta per i testi adottati come manuali - non sono generalmente redditizie. In Italia, tipicamente, vengono finanziate con fondi di ricerca, cioè con il denaro pubblico delle imposte dei cittadini e delle tasse degli studenti. I testi risultanti, altrettanto tipicamente, non sono pubblici ma privati, in quanto soggetti alle restrizioni legate al diritto d'autore, che la legislazione italiana, europea e statunitense va progressivamente inasprendo: 1 i cittadini, gli studenti e le stesse biblioteche pubbliche sono dunque costretti ad acquistare, di nuovo a pagamento, qualcosa che di solito deve la sua esistenza esclusivamente a denaro pubblico.

Per quanto gran parte della vita del sapere dipenda dalla libertà e accessibilità dell'informazione, questo costoso paradosso passa quasi inosservato. Gli studiosi concentrano la loro attenzione su questioni importanti e il problema del finanziamento e del regime di pubblicità dei loro testi li interessa per lo più in modo marginale, sebbene si manifesti sempre più frequentemente a causa della cronica scarsezza dei loro fondi di ricerca. Il saggio di Guédon descrive l'evoluzione del sistema delle pubblicazioni periodiche nelle scienze naturali e alcuni possibili scenari futuri. Com'è accaduto che gli editori sono diventati i guardiani del sapere? La risposta dell'autore non si limita a descrivere un fenomeno economico. La sua analisi mostra che il modo in cui testi vengono diffusi e controllati influenza l'ambiente della cultura e del pensiero; le tecnologie e i mercati del discorso condizionano la parola stessa. 2 È difficile capire pienamente la rivoluzione concettuale socratico-platonica senza lo sfondo della diffusione della scrittura entro la tradizione della cultura orale; 3 ed è altrettanto difficile negare il legame della riforma luterana e del suo sacerdozio universale del cristiano con l'invenzione della stampa, 4 che mise a disposizione di tutti le Sacre Scritture. In questo senso, l'umanista che vuole che i suoi discorsi agiscano nel mondo avrebbe il diritto e il dovere di occuparsi di mercati e di tecnologie.

Chi ritiene che le tecnologie e i mercati della parola non siano una questione meramente tecnica, si è accorto da tempo che il problema dei costi della pubblicazione e della scarsa circolazione delle idee potrebbe oggi essere facilmente risolto, attraverso l'uso della rete. Guédon ne spiega le ragioni descrivendo l'esperienza degli Open Archives, la rete di archivi distribuiti ad accesso libero che, tramite un sistema di catalogazione comune, costituiscono uno spazio virtuale di conoscenza condiviso. Internet non solo consente una diffusione capillare e tempestiva del nostro lavoro, ma anche una sostanziale riduzione dei prezzi, anche perché, in genere, le facoltà e le biblioteche, per motivi diversi, possiedono già dei server. Un sapere finanziato da denaro pubblico deve essere reso a sua volta pubblico: la rete offre modi semplici per farlo, senza che ci sia più bisogno di ricorrere alla mediazione, onerosa e spesso intempestiva, di editori e riviste. Chi ha seguito questa strada, ne ha ricavato grandi soddisfazioni: se un lavoro piace ed è utile, viene diffuso e promosso dagli stessi lettori, senza che gli autori abbiano bisogno di preoccuparsi dei finanziamenti e dei costi.

Come mai, allora, persone che tengono moltissimo a che si parli delle loro idee guardano ancora la rete con sospetto e timore, e preferiscono passare per le forche caudine di un sistema che sottrae denaro e sapere al pubblico, per produrre volumi destinati a una diffusione e a un impatto assai limitati? Il saggio di Guédon risponde a questa domanda, e mostra anche perché l'indifferenza degli studiosi alle tecnologie e ai mercati del discorso sia un sintomo culturalmente e politicamente allarmante.

Chi è cresciuto nell'età della stampa è abituato a dare per scontati due aspetti: in primo luogo, che il momento della selezione per la pubblicazione e quello della valutazione siano identici; in secondo luogo, che la libera circolazione dei testi debba essere ristretta sulla base di un copyright, il quale, dagli iniziali quattordici anni dalla prima pubblicazione previsto dallo Statute of Anne (1710) britannico, la prima legge europea in materia, è oggi esteso a settant'anni dalla morte dell'autore. 5 Questi due aspetti, congiunti, sono il frutto di un complesso percorso storico, che si svolge interamente nell'età moderna, a partire dall'invenzione della stampa a caratteri mobili.

Quando la produzione dei testi era soltanto manoscritta, i libri erano preziosi pezzi di artigianato artistico. L'idea di una proprietà privata intellettuale, in quanto insisteva su un ente immateriale, indefinitamente condivisibile, sarebbe stata considerata bizzarra. Ma la stampa trasformò la produzione di testi in una intrapresa industriale dalle potenzialità rivoluzionarie. Il regime giuridico delle opere a stampa, che fu definito per la prima volta compiutamente in Inghilterra, fu l'esito del concorso di interessi eterogenei. Gli stampatori avevano interesse a garantirsi il monopolio della stampa di ciascun testo, preferibilmente in perpetuo. La corona aveva interesse a tenere sotto controllo la stampa a causa delle sue potenzialità sovversive di divulgazione. Nel corso del Seicento, i monarchi sfruttarono la prerogativa regia per regolare l'attività della stampa concedendola come un privilegio di corporazione: in questo modo, i desideri monopolistici dei librai-stampatori furono soddisfatti tanto bene che essi divennero i più accaniti fautori della censura. Quando il monopolio corporativo cominciò a venir contestato ed ebbe avvio il processo che condusse allo Statute of Anne, la disciplina che ne risultò fu il frutto di un compromesso. Se agli stampatori fosse stata riconosciuta la proprietà privata perpetua sui testi, la corona avrebbe rinunciato interamente alla sua prerogativa: per questo motivo, fu riconosciuto loro solo una esclusiva temporanea, detta copyright. 6 Dal canto loro gli studiosi, come autori, avevano interesse al riconoscimento della loro paternità intellettuale e del loro rango scientifico. La stampa permise loro di soddisfare questa aspirazione con l'invenzione delle riviste scientifiche peer reviewed.

Questo esito ha condotto a una duplice restrizione: in primo luogo, sulle riviste prestigiose, che conferiscono rango scientifico e sono acquistate dalle biblioteche, vengono pubblicati solo alcuni articoli selezionati; in secondo luogo, questi articoli sono soggetti a copyright e perciò non possono circolare liberamente prima della scadenza di un termine divenuto ormai remoto. A partire dagli anni '60, gli editori si resero conto che la domanda delle riviste scientifiche che conferiscono rango era fortemente anelastica: essendo queste riviste essenziali per il dibattito e per la carriera degli scienziati, qualsiasi biblioteca accademica o universitaria era tenuta ad acquistarle, a prescindere dal prezzo. Questa, in un guscio di noce, è stata la causa dell'aumento spropositato dei prezzi noto con il nome di crisi dei prezzi dei periodici. 7 Tale aumento, che ha prodotto un cospicuo drenaggio di risorse prevalentemente pubbliche a favore di un sistema editoriale privato sempre più concentrato nella proprietà, ha certamente arricchito gli editori, ma non è andato a vantaggio degli studiosi.

Nell'età della stampa, la pubblicazione era una procedura costosa, che richiedeva le competenze tecniche di editori, tipografi e bibliotecari, e una organizzazione industriale: il copyright, a garanzia dell'investimento dell'editore, e la selezione preliminare alla pubblicazione da parte dei comitati scientifici delle riviste potevano apparire soluzioni ragionevoli, anche se comportavano due limiti evidenti. Il primo limite è legato alla coincidenza fra selezione e pubblicazione, che mette in mano ai direttori delle riviste un potere grande e difficilmente controllabile. Chi non passa il vaglio del comitato scientifico è condannato al silenzio - sia che abbia prodotto qualcosa di scadente, sia che abbia proposto un'idea così innovativa da non essere compresa, sia che si sia creato, per qualche motivo, dei nemici. Il secondo limite è legato al carattere esclusivo del copyright: non poter riprodurre un testo senza autorizzazione è, di per sé, un impedimento alla circolazione delle idee. Non si dovrebbe mai dimenticare che gran parte di quanto conosciamo della scienza e della letteratura antica è sopravvissuto grazie al lavoro di generazioni di copisti. Se i testi degli antichi fossero stati soggetti a un copyright lungo come quello attuale, e se la sua violazione fosse stata, come oggi, punita con aspre sanzioni penali, ci rimarrebbe ancor meno. 8 Tuttavia la stampa rendeva possibile raggiungere un pubblico molto più ampio, a costi molto più bassi di quelli delle copie manoscritte. Per questo, l'interesse degli studiosi alla circolazione delle idee e l'interesse economico dell'industria della stampa riuscirono a raggiungere un onorevole compromesso.

Oggi, però, la situazione è radicalmente mutata: grazie alla rete Internet e alla digitalizzazione dei documenti, possediamo una tecnologia della parola molto meno costosa e assai più efficace della stampa. Chiunque disponga di un calcolatore con accesso a Internet e sia in grado di trasformarlo in un web server o in un nodo di una rete peer to peer, può pubblicare tempestivamente e a costi assai più contenuti di quelli della stampa tradizionale. Tale libertà si fonda sulla struttura stessa della rete, la quale è costruita su protocolli aperti che, in quanto tali, possono divenire standard usati da tutti. 9 Dal momento che la pubblicazione è divenuta facile e immediata, non è più indispensabile identificare il momento della selezione e quello della pubblicazione. Tutti coloro che hanno accesso alla rete possono pubblicare: nessuno è condannato al silenzio.

Questo, naturalmente, non fa sparire il problema della selezione, che anzi viene esaltato dalla gran quantità di testi messi a disposizione del pubblico. Il saggio di Guédon invita gli studiosi a ripensare gli strumenti di valutazione e a riappropriarsene, e suggerisce alcune soluzioni, mutuate sull'esperienza della rete degli Open Archive e del movimento Open Access, e dal movimento GNU/Linux. 10 La soluzione adottata dagli archivi di Los Alamos, dagli sviluppatori di software libero, dai ricercatori americani fondatori di ARPA net, antenata di Internet, è molto simile al modo in cui i testi classici ci sono stati tramandati: quella della selezione attraverso l'uso. Quando i documenti sono liberamente riproducibili, quelli che incontrano maggiormente l'interesse degli utenti non solo migliorano il loro ranking su motori di ricerca che si valgono di algoritmi intelligenti , come Google, 11 ma, soprattutto, vengono riprodotti anche su altri nodi della rete. Il successo di un testo, in queste forme di peer review allargate, ne garantisce la diffusione e la conservazione, senza che ci sia più bisogno di mettere all'ingresso delle barriere, sorvegliate da custodi che, a loro volta, nessuno custodisce.

Questo, almeno, avviene nel caso di documenti, come le RFC, che sono gestiti in prima persona dagli autori e possono circolare liberamente. 12 Che cosa avviene, invece, se si sceglie, come è stato nel caso di gran parte della pubblicazione scientifica, di applicare in rete il modello della stampa, cioè la delega della pubblicazione a un sistema aziendale e industriale? Un testo digitalizzato è facilmente e indefinitamente riproducibile: questo, se rallegra chi è interessato alla diffusione delle sue idee, terrorizza invece chi vorrebbe guadagnarci dei soldi. Gli editori, anche in virtù della distrazione degli studiosi, hanno risolto il problema in questo modo: hanno smesso di vendere documenti e hanno cominciato a vendere accessi o permessi di lettura temporanei. Quando una biblioteca pubblica acquista un volume cartaceo, lo mette gratuitamente a disposizione del pubblico: chiunque lo può leggere, se non incontra l'intralcio di regole oscurantiste come la direttiva europea 92/100/CEE, che impone il prestito bibliotecario a pagamento. 13 Se una biblioteca acquista un periodo di accesso a una rivista, nulla, in senso proprio, passa nel suo patrimonio a disposizione del pubblico. Il testo non è più uno ktema eis aei per l'umanità, ma un oggetto che rimane di proprietà privata, la cui accessibilità è riservata solo a chi può pagare e che può essere in ogni momento revocata.

Le conseguenze di questa nuova condizione per la vita delle idee sono evidenti: il dibattito scientifico ha come oggetto un sapere privatizzato, riservato solo ai clienti. Per di più, chi paga non acquista un documento, ma compra solo un temporaneo diritto di accesso: gli editori sono i soli, incontrastati, padroni del discorso.

Dal lato dei lettori, innumerevoli menti, il cui contributo potrebbe essere vivificante, rimangono irrimediabilmente escluse; e gli autori, condannati a veder circolare il loro nome e le loro idee in ambiti sempre più provvisori e ristretti, si rendono irraggiungibili e dunque incapaci di impatto, proprio in un momento in cui la rete sta incoraggiando una partecipazione sempre più ampia. Questo processo è irreversibile, a meno che gli studiosi non decidano che rendere le proprie pubblicazioni liberamente accessibili e studiare nuove forme di selezione sono questioni di grande importanza per gli interessi della comunità scientifica e dei lettori in generale.

Da quando la Musa ha imparato a scrivere, gli umanisti si sono occupati di tecnologie della parola, scegliendo di impadronirsene anche quando ne coglievano i limiti. È importante che lo facciano ancora, perché alla libertà della penna possa subentrare, come palladio del diritto del popolo, 14 la libertà della tastiera. Per questo motivo, la redazione del Bollettino telematico di filosofia politica ha scelto di tradurre questo saggio e di proporlo al lettore della stampa cartacea.



[1] Su questo tema si veda L. Lessig, Free Culture. How Big Media Uses Technology and the Law to Lock Down Culture and Control Creativity, New York, The Penguin Books, 2004; disponibile anche in rete.

[2] W. Ong, Orality and Literacy. The Technologizing of the World, London-New York, Methuen, 1982, cap. IV; trad. it. di A. Calanchi, Oralità e scrittura, Bologna, il Mulino, 1986; H. Innis, The Bias of Communication (1951), Toronto, University of Toronto Press, 1964; trad. it. di A. Lorenzini, Le tendenze della comunicazione, Milano, SugarCo, 1982.

[3] Si veda E.A. Havelock, Preface to Plato, Cambridge Mass., Harvard UP. 1963, Preface; trad. it. di M. Carpitella, Cultura orale e civiltà della scrittura, Roma- Bari, Laterza, 1973, pp. 3-7.

[4] M. McLuhan, The Gutenberg Galaxy, Toronto, University of Toronto Press, 1962; trad. it. di S. Rizzo, La galassia Gutenberg, Roma, Armando, 1976, p. 310. G. H. Clark, Religion, Reason and Revelation, Jefferson (Maryland), The Trinity Foundation, 1986, p. 44.

[5] M. Rose, Authors and Owners. The Invention of Copyright, Cambridge (Mass.), Harvard U.P., 1993, pp. 31-48.

[6] Si veda a pp. 22-24 di questo libro.

[7] Si veda a pp. 38-45 di questo libro.

[10] Si veda a pp. 73-80 di questo libro.

[11] I motori di ricerca usano algoritmi ad hoc per indicizzare e classificare le pagine web in base alla loro rilevanza rispetto a quanto si cerca: naturalmente, dal momento che questi algoritmi sono privati e nessun search engine è in grado di indicizzare tutto, ciascuno di essi propone semplicemente una prospettiva e una selezione. Il carattere complesso della ricerca in rete è ben illustrato nel sito dell'hacker e linguista finlandese Fravia, presso http://www.searchlore.org/tadimens.htm; presso http://www.searchlore.org/main.htm è anche possibile consultare una guida ragionata ai principali motori di ricerca.

[12] Si veda a pp. 74-75 di questo libro.

[13] Come si vedrà a p. 59, Guédon parla del regime anglosassone della disciplina della prima vendita (first sale provision), il quale permette che, una volta acquistato il libro cartaceo, il prestito bibliotecario sia libero. Il legislatore europeo, di contro, ha stabilito che i diritti di concedere o di negare il prestito non si esauriscono con la vendita o la distribuzione, in qualsiasi forma, di originali o copie di opere tutelate dal diritto d'autore (art. 4). Su questo tema si veda la campagna promossa da un gruppo di biblioteche italiane presso http://www.nopago.org/.

[14] I. Kant, Über den Gemeinspruch: Das mag in der Theorie richtig sein, taugt aber nicht für die Praxis, A 265. È significativo che Kant, quando afferma che la libertà della penna è l'unico palladio del diritto del popolo, usi la metafora della penna e non quella del torchio. La penna è lo strumento dello scienziato e del filosofo: è questa libertà - la libertà della scienza - , e non la libertà della stampa come intrapresa economica, quella che protegge i nostri diritti.