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AIDAinformazioni
ISSN 1121-0095, trimestrale
anno 21, numero 1, gennaio-marzo 2003

Donne e documentazione: il respiro di un secolo
Anna Baldazzi
AIDA, Roma 
Abstract - Da Léonie La Fontaine alla fine dell'Ottocento, a Suzanne Briet negli anni ’30-50, ai siti delle donne in rete della nostra attualità, la documentazione scientifica e tecnica al femminile, coerentemente con gli indirizzi di politica documentaria di Bruxelles, si è posta costantemente l'obiettivo della difesa della persona e delle pari opportunità. Accanto alle pioniere storiche, anche nordamericane, della Biblioteconomia e delle Scienze dell'informazione, vengono rintracciate figure determinanti per l'affermazione oggi delle TIC e, in Italia, protagoniste che hanno aderito per prime al movimento internazionale di Otlet e hanno predisposto il terreno per l’affermazione della Documentazione negli anni '80. L'AIDA dal punto di vista della composizione di genere è proposta come studio di caso e il profilo di una sua fondatrice, Maria Pia Carosella, è colto nel suo specifico professionale e di servizio.
Women and documentation: the breath of a century - From Léonie La Fontaine, in the last years of the XIX century, to Suzanne Briet in the years '30-'50s, to the sites of women in the Net, the Scientific and Technical women Documentation, in accordance with the addresses of Brussels Documentary Policy, plays an important role for the defense of the person and the equal opportunities. Together with the North-American pioneers in the field of Librarianship and Information Sciences, important figures for the affirmation of the Documentation in Italy are described; protagonists who joined the Otlet Movement and prepared the development of the Documentation in Italy in the '80s. AIDA, from the gender point of view, is proposed as a case study and the profile of one of its founder, Maria Pia Carosella, is outlined.
Parole chiave - Storia della documentazione - Pioniere - AIDA


Il futuro

Il ventesimo secolo si è aperto con l'affermazione, soprattutto in Europa, di una disciplina di avanguardia come la Documentazione, e si è chiuso con lo scioglimento della FID [Fédération Internationale de Documentation], che per più di 100 anni ha rappresentato l'orientamento di una pluralità di Paesi proprio nell'àmbito della Documentazione prima e delle Scienze dell’informazione poi. In realtà, alla chiusura della FID - peraltro e assolutamente per meri motivi economici - non è corrisposta una diminutio di interesse per i suoi obiettivi e ideali. Il Novecento si è concluso con la prospettiva di costruzione e crescita della società della conoscenza, in cui professionisti dell'informazione, donne e uomini, utilizzano in maniera diffusa le nuove tecnologie dell'informazione per promuovere l'accesso alla conoscenza, per gestire e condividere saperi e risorse umane, per edificare la eEurope.

In questo contesto, le dinamiche del multilinguismo e della multietnicità gareggiano in positivo con la sensibilità ormai consolidata nei confronti delle pari opportunità e dell'identità di genere, come principî culturali progressisti del nostro tempo. Rispetto a quanto è invece avvenuto nell'area delle biblioteche, la storia del Novecento, nell'ambito generale delle LIS, non ha marcato esplicitamente - per lo meno a livello di principio e forse per la giovane età della disciplina - speciali distinzioni di ruolo e di impegno afferenti al genere. Semmai ciò che è sembrato precario fino a pochi anni fa è stata l'attenzione alla storia della cultura documentaria, alla memoria dei precursori, delle pioniere, dei classici del pensiero e della pratica professionale, sia donne che uomini. E però, la dimenticanza ha colto in generale più le professioniste al femminile che non gli interpreti al maschile. Tranne casi eccezionali, come è avvenuto per Léonie La Fontaine e Madame Briet.

L'intento di questo numero monografico non è tuttavia quello di assumere una posizione particolare di pensiero, o comunicare una determinata linea ideologica; bensì soprattutto quello, da una parte, di non perdere la memoria di chi nel nostro settore, AIDA e non solo, ha profuso singolare intelligenza e operatività; dall'altra, di indicare elementi di riflessione prospettica più generali: relativi alla formazione professionale, alla presenza scientifica delle donne, ai criteri e ai metodi che nella ricerca della conoscenza richiedono attenzione alla specificità femminile, alla presenza della donna nella nuova dimensione culturale della rete. Quasi a colmare una lacuna riscontrabile nella letteratura, che fino a pochi anni fa è sembrata circoscrivere le problematiche del tema donna e discipline dell'area biblioteconomica e informativa all'ambito operativo professionale e di carriera, più che investire le competenze di capacità di astrazione e di pensiero.

L'IFLA da tempo dedica sessioni specifiche alle donne. Sullo sfondo della emergente information society ha inaugurato il primo Working Group di genere e nel decennio successivo ha interrelato i suoi lavori con i temi della cooperazione, della leadership, dell'empowerment tecnologico, della democrazia e partecipazione, di fronte al nuovo Millennio e alla globalizzazione. È simbolica la data del 1990. Proprio all'indomani dell'apertura di Internet a livello di massa, il Working Group si organizza infatti con l'obiettivo di comunicare saperi ed esperienze costituendosi in comunità di pratica e ispirandosi alla pedagogia costruttivista dell'e-learning (Siitonen, 1999). Le donne dell'IFLA sembrano avvalersi del nuovo strumento della rete per reinterpretare su un orizzonte massmediale una nuova mission sociale: la cooperazione (IFLA, 2002). Del resto, i sottotemi del Congresso 2003 (Berlino, agosto 1-9) dedicato all'Access point library: Media - Information - Culture (IFLA, 2003), delineano al femminile la tradizione dell'impegno nella biblioteca, ma anche i topics cari al versante delle Scienze dell'informazione, occupando uno spazio lasciato vuoto dalla FID, e riunificando di fatto le problematiche delle professioni dell'informazione, agite ormai pervasivamente nello spazio virtuale.

D'altra parte, la condizione postmoderna del rapporto tra professioni dell'informazione e identità femminile offre l'opportunità di richiamare e trasferire in questo contesto alcuni concetti del pensiero critico della differenza di genere. Più precisamente, sembrano utili le nuove configurazioni mitiche di identità afferenti al soggetto nomade di Rosi Braidotti e al cyborg di Donna Haraway.

Il soggetto nomade (Braidotti, 1995) sconvolge le coazioni identitarie, cercando adattamenti in continuo mutamento; è un soggetto in transito, situato alla periferia e contemporaneamente all'interno di differenti formazioni identitarie, multiculturali; è un soggetto che nell'interazione quotidiana con l'alta tecnologia si posiziona in un'ottica postumanistica… «gli spostamenti nomadici segnano […] un divenire creativo. Sono una metafora performativa che consente incontri altrimenti improbabili e mette a disposizione insospettate fonti di interazione tra diverse forme di esperienza e conoscenza». Il cyborg (Haraway, 2000) è la creatura della contaminazione operata dalla storia, dalla cultura, dalla macchina; è una figurazione innaturale, una creazione ironica del contrasto tra umano universale e saperi invece situati. È insomma una metafora della complessità, che come tale tende a superare i divari e a condurre verso processi di unificazione.

E così, echeggiando le posizioni di Donna Haraway e mutuando alcuni ragionamenti delle teorie femministe di Rosi Braidotti, sembra quasi di poter ipotizzare che la professionista del futuro, ma già di oggi, si muova in uno scenario culturale in cui la suggestiva impostazione teorica postumanistica che anima il soggetto nomade esprime la necessità contemporanea di negoziare continuamente il proprio spazio; senza peraltro ignorare la differenza di genere in un’epoca in cui il pensiero - politico, epistemologico, etico - sembra di fatto completamente colonizzato (Braidotti, 1985). In questo contesto, la bibliotecaria, concepita prevalentemente al femminile, e il documentalista, immaginato nel genere grammaticale naturalmente al maschile, possono assumere la duttilità del cyborg che ha innescato sottopelle e nei neuroni un processo di produzione e di circolazione dell'informazione profondamente trasformato. «La fusione tra uomo e tecnologia realizzata nell’ibridazione del corpo può allora raccontare nuove storie, non solo quella del corpo che si fa fabbrica come nei robot di Asimov e nei replicanti di Dick, ma anche quella del corpo che si fa televisione come in Videodrome di Cronenberg (film evidentemente ispirato a Ballard e a McLuhan), quella del corpo che si fa informazione e dei mondi simulati come in Neuroromante di Gibson. Molly e Case sono la coppia dell'attraversamento del cyberspazio nella continuità, nella convivenza di due nature, l'ibrido elettromeccanico e i robot mediatici. Il riferimento alla donna e all’uomo nell'orizzonte del loro lavoro d'informazione è più esterno che reale, più oggettuale - gli occhi di Molly sono prostetici, Case è un abitante del virtuale - che non naturale» (Caronia, 2001). L'ibridazione, come l'artificiale, è una prospettiva non più futuribile, ma propria del presente, dove la duttilità delle TIC oltrepassa continuamente i confini, in un processo di costruzione e decostruzione che impone di ridisegnare via via i confini dell'identità personale, collettiva e del lavoro. E questo avviene nella biblioteca e nei centri di documentazione – termini ormai simbolici di un passato classicista e umanista della professione.

USA-Europa: il punto di vista femminile nella biblioteca e nella documentazione all'inizio del Novecento

È noto che la storia della documentazione europea per le convinzioni umanitarie e sociali dei suoi fondatori, Paul Otlet ed Henri La Fontaine, è incardinata nei movimenti politici dell'internazionalismo pacifista e del socialismo. Essa è tuttavia pure legata al movimento d'avanguardia del femminismo. E non solo per la difesa dei diritti delle donne professata apertamente dai due avvocati fin dal 1892, quando Henri e sua sorella Léonie, con Louis Frank (avvocato), Isala van Diest (prima donna medico) e Marie Popelin (prima donna avvocato) fondano la Ligue belge du droit; ma per la propulsione scientifica che questo ambito di studi trova proprio all’interno dell'Istituto Internazionale di Bibliografia. Léonie, che si occupa fin dal principio della redazione delle schede bibliografiche del Repertorio bibliografico universale, dà infatti al soggetto di attualità del femminismo la dignità di uno spessore documentario, avviando così la prima vera bibliografia di genere che costituirà nel 1910 - parallelamente alla conquista del voto delle donne in Inghilterra - il fondo documentario di base dell'Office centrale de documentation féminine. Così la documentazione al femminile, nella metodologia del trattamento e nella finalità comunicativa, sorge incardinata nella stessa documentazione scientifica, come uno dei centri specializzati che avrebbero contribuito alla realizzazione della rete universale. Ciò che è infatti notevole nel movimento di Bruxelles è, da una parte, la dimensione paritaria di principio con cui la professione documentaria nasce e si proietta nel sociale; dall'altra, la qualificazione alta delle pioniere (Le fond Léonie La Fontaine, www.mundaneum.be).

Oggi, il quadro d'insieme può riuscire senz'altro un po' enfatico, ma non è meno attuale dal punto di vista della proposta intellettuale. L'anticonformismo del movimento saldava infatti l'utopia di un futuro migliore sul piano dei diritti della persona, donna e uomo, e della cooperazione delle nazioni ad una super scienza globale, metodologica, intrisa di umanitarismo in un momento in cui le super potenze mondiali si confrontavano sul terreno militare, degli armamenti e del colonialismo, e si predisponevano alla prima guerra mondiale.

Quello di Bruxelles è un contesto d'avanguardia, mentre, negli Stati Uniti, la professione bibliotecaria non ha ancora raggiunto la stessa parità. Negli ultimi decenni dell'Ottocento, le bibliotecarie devono veramente imporsi per avere una dignità di ruolo riconosciuta e una qualificazione professionale certificata. Lo stesso Melvil Dewey (Dewey, 1886) sarà di fatto criticato non poco per aver favorito le scuole di biblioteconomia per donne: Pratt, 1890; Drexel, 1891; Armour, 1893 (Maack, 1996). E Salome Cluter Fairchild già nel 1904 denunciava la mancanza di uno stato gerarchico delle donne nella professione, che tuttavia appariva a chiare lettere una vera "female-intensive profession" (Fairchild, 1904). Nel questionario da lei inviato ad un campione rappresentativo di 100 biblioteche - a cui avevano risposto 94 istituzioni - sul totale di 2.958 appartenenti allo staff bibliotecario, ben 2.024 risultavano essere donne; si evinceva pure il dislivello retributivo di circa il 50% del valore economico tra donne e uomini nella stessa posizione. La Fairchild, nella definizione delle aree del questionario, tracciava di fatto un profilo emotivo-motivazionale al femminile della professione:

Tale profilo, divenuto a volte uno stereotipo, è sopravvissuto fino agli anni '70 e oltre (Schiller, 1974), quando spinte convergenti della biblioteconomia specializzata, dei centri di documentazione e informazione, al pari della tecnologizzazione informatica e telematica del lavoro di biblioteca e dei servizi di informazione, non soltanto hanno avvicinato le professioni delle LIS, attenuando la preponderanza numerica al femminile; ma hanno pure  fatto emergere il ruolo storico delle donne nell'innovazione della professione e nell'ideazione e avanzamento scientifico delle nuove tecnologie (Hildenbrand, 2000). Nella globalità di quest’area, infatti, la "defemminilizzazione" dello stereotipo negativo non si è verificata unicamente per il radicarsi del pensiero sulle pari opportunità, bensì anche per l'uso diffuso del computer, uno strumento che ha contribuito a far cadere - per lo meno in parte - la separazione tra "l'uomo tecnologico" e la "blondelibrarian" (Goodvin, 2002). E ciò superando di fatto l'etica professionale del neutralismo avanzata da Foskett, sintetizzabile nel motto: Nessuna politica, nessuna religione, nessuna morale (Cram, 1992; Foskett, 1962).

Rispetto alle due direttive interne all'affermazione delle LIS, quella della documentazione come innovazione organizzativa e gestionale dei supporti di informazione, dell'elaborazione dei dati in funzione comunicativa, e quella dell'attenzione alle tecnologie nuove e avanzate - esemplificando dalla storia di quasi due secoli, in una dialettica globale-glocale - in questa sede ci entusiasma richiamare il lavoro di tre donne, molto diverse; l'una impegnata nell'applicazione innovativa della documentazione di inizio Novecento; l'altra rivolta alla ricerca teorica e alla ideazione di una macchina per la generazione automatica di modelli algebrici; la terza, infine, impegnata tutt'oggi nella affermazione e diffusione della documentazione come disciplina della nostra attualità di studi: Augusta Fongoli, italiana; Ada Lovelace, inglese; Maria Pia Carosella.

Augusta Fongoli e il contributo italiano alla rete di cooperazione universale

Augusta Fongoli, bibliotecaria dell'Istituto Internazionale di Roma per l'Unificazione del Diritto Privato, con sede a Villa Aldobrandini, partecipa al Congrès mondial de la documentation universelle, che si svolge a Parigi dal 16 al 21 agosto del 1937, con un contributo sulla documentazione giuridica finalizzato ai due temi fondamentali del Congresso: la cooperazione internazionale e il trattamento tecnico-scientifico della documentazione stessa (Congrès mondial, 1937).

L'Istituto Internazionale di Roma, inaugurato il 30 maggio del 1928, era nato a seguito di una proposta della Società delle Nazioni (1924), proposta cui «aveva aderito il governo italiano. La Società delle Nazioni riteneva che un Centro di studi e di coordinamento del diritto privato avrebbe soddisfatto una delle esigenze più fortemente sentite tanto nel campo scientifico quanto in quello pratico» (Fongoli, 1937). L'Istituto aveva pertanto fissato nel suo Statuto la finalità primaria di «studiare i mezzi per armonizzare e coordinare il diritto privato fra gli Stati o fra gruppi di Stati e preparare gradualmente l'adozione da parte di diversi Stati di una legislazione di diritto privato uniforme» e a ciò aveva sopperito con l'istituzione di «una vasta biblioteca destinata a raccogliere la documentazione giuridica di tutto il mondo, allo scopo di trarre da questa gli elementi necessari all'esame comparativo dei sistemi legislativi in vigore per giungere, attraverso le eliminazioni delle differenze in essi sistemi esistenti, ad una regolamentazione uniforme delle varie materie del diritto privato» (Fongoli, 1937). La voce della Fongoli è tanto più rappresentativa di una visione ideale di origine della documentazione, in cui i contenuti giuridici dovevano divenire elementi costitutivi del sistema di cooperazione internazionale, in quanto sicuramente non più portavoce del Governo italiano, il quale oramai nel '37 aveva di fatto abbandonato la Lega delle Nazioni, occupato l'Abissinia e rivolto una più forte simpatia alla politica imperialistica di Hitler.

Il secondo aspetto della relazione della Fongoli verte sul metodo documentario adottato dall’Istituto. Da una parte, l'elaborazione scientifica moltiplica i cataloghi: esplodono i cataloghi semantici alfabetici, per soggetto e per Paesi con schede di rinvio per richiamare interrelazioni secondarie, oltre alla redazione del catalogo per autori. Dall'altra, la tecnica di compilazione delle schede risponde ad un duplice criterio: di rappresentazione sindetica di dati bibliografici e di dati analitici desunti soprattutto dallo spoglio dei periodici, per dare all'utente sincronicamente l'estensione della mappa concettuale del dato bibliografico; di riproduzione illimitata della scheda madre mediante il cliché di cera, rivolta a soddisfare l'esigenza di "cooperazione intellettuale".

La redazione dei cataloghi per meglio rispondere alla politica di informazione dell'Istituto si pone anche strumentalmente su un piano di operatività super-nazionale, adottando il formato internazionale, ovvero la scheda del modello di Bruxelles - che già per la consulenza di Otlet avevano adottato l'Istituto Internazionale di Agricoltura e la Biblioteca Nazionale di Roma (Baldazzi, 1996) - come pure la lingua francese, la lingua della comunicazione internazionale appunto, e certo della Lega delle Nazioni.

Quella di Augusta Fongoli, con quella di Suzanne Briet e Georgette de Grolier, è una delle 13 comunicazioni di donne su 91 contributi rappresentativi dei partecipanti al Congresso.

Pur in sintonia con le tematiche di cooperazione di rete del Congresso, essa lascia tuttavia trapelare un interesse meno attento alle tecnologie di riproduzione microfotografica, grande novità dell'Esposizione di Parigi del ’37, e insieme filo conduttore e di continuità tra l’Esposizione e il Congresso, tra il Movimento di Bruxelles e il Movimento per la scienza di Washington, rappresentato a Parigi da Watson Davis dell’ADI, da Atherton Seidell e da Herman H. Fussler: gli ultimi due erano contemporaneamente espositori e relatori a Parigi nel ’37, poiché l'uno aveva organizzato un laboratorio completo con due macchine fotografiche per lo sviluppo di pellicole filmiche, e l'altro era l'ideatore della macchina microfotografica sperimentata alla Biblioteca Nazionale di Parigi (Rayward, 1983).

Ada Lovelace, pioniera del computer

Se i principî cooperativi e i diritti della persona portano a valorizzare anche le radici storiche al femminile della documentazione, lo sviluppo tecnologico e l'applicazione dei nuovi media all'elaborazione dell'informazione, soprattutto a partire dagli anni '60, hanno portato a riscoprire recentemente l'apporto determinante di Augusta Ada Byron King, contessa di Lovelace (1815-1852) nell'ideazione del computer meccanico (O'Connor - Robertson, 2002).

Figlia del romantico e libertario poeta inglese, Ada fu educata lontana dalla poesia e da più tutori avviata allo studio della matematica e della musica, così che "emozione e ragione" furono i presupposti di sentimento e intelletto con cui si accostò, nel 1833, alla Difference Engine, la prima macchina di Charles Babbage, un prototipo di calcolatore meccanico per la produzione di tabelle (Moore, 1977). Ada, familiare con gli studi matematici grazie anche all'amicizia di Mary Sommerville che aveva tradotto in inglese l'opera di Laplace adottata all'Università di Cambridge, nel 1842 fu coinvolta da Babbage nel lavoro della seconda macchina, l'analitica, una macchina in grado di sostenere un sistema capace di eseguire molteplici procedure simboliche di calcolo, e applicabile a dati codificati. Le idee di Babbage, infatti, esposte a Torino nel '41 erano state riassunte in un articolo in lingua francese da Luigi Menabrea (Lee, 1994); Ada, di sua iniziativa, elabora e invia la traduzione inglese a Babbage, il quale la invita a scrivere e commentare con sue proprie note l'articolo. In realtà, Ada amplia il testo di due terzi della sua lunghezza, esprimendo proprie intuizioni e attribuendo all'Analytical Engine la capacità di comporre musica complessa, di produrre grafici e di trovare spazio in sperimentazioni scientifiche e pratiche. «La caratteristica distintiva della macchina analitica - sottolinea Ada - e ciò che ha reso possibile dotare il meccanismo di facoltà estensive con un bell'invito a fare di questa macchina il braccio destro esecutivo dell'algebra astratta è l'introduzione in essa del principio che Jacquard aveva concepito per regolare attraverso il sistema delle schede perforate i complicatissimi modelli sulla fabbricazione dei materiali decorati. E in questo consiste la distinzione di configurazione delle due macchine. Niente di tutto ciò esiste nella Difference Engine. Possiamo dire che l'Analytical Engine è molto più adatta a intessere modelli algebrici proprio come il telaio di Jacquard intesse fiori e foglie… Ancora l'Analytical Engine può produrre altre cose oltre ai numeri… la macchina può comporre partiture elaborate e scientifiche di musica di qualsiasi grado ed estensione…» (Toole, 1996). In particolare, l'intuizione di Ada di utilizzare la macchina analitica per calcolare i numeri di Bernoulli è considerata oggi la prima idea di scrittura di un programma di computer (Mishna, 1997).

Senza entrare in polemica con chi considera Ada Lovelace una delle cinque o sei persone autori dei primi prototipi di programmi e non la prima programmatrice in assoluto (Hyman, 1936), è un fatto tuttavia che le sue note furono particolarmente apprezzate da Babbage che si dichiarò «riluttante a restituirle all'autrice», mente «ammirevole e filosofica», anzi la pregò di non alterarle, sostenute com'erano da una solida base logica e non solo immaginativa: «tutto questo era impossibile per voi conoscere solo intuitivamente e, come più leggevo le vostre note, più rimanevo sorpreso e dispiaciuto di non aver esplorato subito una così ricca vena di un così nobile metallo» (Toole, 1996). Le notazioni all'Analytical Engine includevano infatti aspetti essenziali della moderna logica dei computer digitali, tecnologie che hanno appieno tutte le dimensioni d'avanguardia in nuce nella rete bibliografica universale di Otlet. E ancora, è un fatto che il Dipartimento della Difesa Americano nel 1979 abbia chiamato Ada un linguaggio di programmazione in onore della contessa di Lovelace.

Un carisma per la documentazione in Italia

A venti anni dalla nascita di AIDA, è quasi impossibile parlare della documentazione in Italia senza avere presente in sincronia l'immagine di Maria Pia Carosella che realmente la documentazione l’ha promossa, vissuta e non solo in quanto donna, ma soprattutto in quanto professionista ai livelli più alti. Se ci si trova a parlare di Maria Pia Carosella, subito l’interlocutore - e da ultimo qualche giorno fa con Maria Bruna Baldacci e Carmen Pagani - interviene con un suo personale ricordo: «la prima volta che l’ho vista…». E tutti i primi incontri vengono ricordati con la stessa caratteristica di atteggiamento: l'ascolto del bisogno d'informazione e un immediato contributo a risolvere il problema, una disposizione convinta di servizio all'utente.

Io, personalmente, andai a trovarla per una mia ricerca sui sistemi di classificazione in ambito educativo - stava per uscire la traduzione della classe 37 della CDU - e sùbito, in pochi minuti, con la vivacità del suo sguardo chiaro di chi sa già come intervenire ed un'agilità di movimento a tacchi bassi, caratteristica che ancora conserva, mi riempì di un monte di edizioni diverse della classe 37, in lingue diverse, per poter avviare un lavoro diacronico dei problemi e delle innovazioni sintattico-semantiche. Poi è stata l'amicizia preziosa per il conforto del calore umano, sempre pronto, e per la ricchezza intellettuale sempre a disposizione. Confesso: lei è il mio referee di ogni scritto.

Nata a Roma, il 7 aprile del 1925, da madre francese e padre molisano di Pietrabbondante da cui ha derivato orizzonti ampi e critici, si è laureata in archeologia proprio con una tesi su Pietrabbondante. E lì, tra i reperti archeologici, ha avviato la sua dialettica con un concetto ampio, senza rigidi confini cartacei, con la documentazione. Ma ciò che la incardina formalmente alla documentazione è la "svolta" di studi del ’50: segue il Corso di Biblioteconomia presso la Scuola della Biblioteca Vaticana incoraggiata e spinta dall'amica e consigliera Battistina Gambigliani Zoccoli, futura direttrice della Biblioteca Centrale del CNR. Negli stessi anni, si avvicina seppur indirettamente - con l'occasione della sua conoscenza del francese, traduce il testo di un filmato sul servizio microfilm degli Archivi di Stato - ai problemi della micrografia, lo strumento più innovativo della tradizione documentaria americana per la diffusione dell’informazione, che l'ambiente della Biblioteca Vaticana aveva acquisito fin dalla fine degli anni '20 con l'adozione delle prime tecniche di riproduzione mediante fotocopiatrice. Con questa formazione, sempre all'inizio degli anni '50, Maria Pia Carosella entra al CNR, dove approfondisce le tecniche documentarie di base, l'abstract, la bibliografia, le recensioni, un lavoro di sintesi e di diffusione informativa, di cui per anni si sono avvalsi sistematicamente i "Fasti archaeologici", ma anche e soprattutto i "Library and Information Abstracts" (1963-1970), il "Bulletin Signalétique", sezione 101 (1973-1980), la Bibliografia italiana sull'informazione (1955-1961), "Saggi e studi di pubblicistica", "Ricerca scientifica" del CNR, il "Bollettino CRID" (1980), i "Quaderni ISRDS", il "Bollettino d'informazioni AIB" (dal 1970). La collaborazione a quest'ultimo dimostra la sua capacità di considerare il lavoro dell'informazione in senso unitario, senza mai preoccuparsi della netta distinzione tra biblioteconomia e documentazione, che pure ha angustiato negli anni molti colleghi di Maria Pia Carosella, e molti di noi. Spirito aperto che le ha valso la nomina a socio d'oro dell'AIB, Maria Pia Carosella è socio fondatore e socio onorario dell’AIDA dal 1996.

La sua collaborazione ad AIDAinformazioni è ovviamente scontata; nelle tabelle presentate relative agli articoli firmati, se si dovessero incrociare gli articoli non firmati e la ricorrenza delle autrici autori/autori, il carico a favore di Maria Pia Carosella penderebbe oltre misura. La sua collaborazione ad AIDAlampi durante questo anno e mezzo di attività è del 23% circa, 63 firme su 275 del totale delle collaborazioni. La sua produzione scientifica conta oltre 100 titoli, contributi a convegni e periodici specialistici anche stranieri, "Documentaliste" e "Information Development", su temi ricorrenti e fondanti la professione, quali: le biblioteche speciali in Italia; il catalogo collettivo dei periodici; la CDU; i servizi di I&D; il servizio all'utente; il ruolo del professionista; lo stato dell'arte della documentazione in Italia; le reti di informazione; le traduzioni scientifiche del settore; la norma UNI e la Euroguida I&D (redatta in versione italiana in collaborazione con Domenico Bogliolo). Ma ciò che resta la sua opera per antonomasia è il Manuale di documentazione, volume collettaneo, sintesi di esperienze e letture soprattutto dell'area ASLIB, che ha rappresentato per l'Italia l'handbook formativo delle generazioni post-anni '80, un manuale che ha conosciuto ben 10 edizioni e che costituisce ancora una reference obbligata storicamente.

Il Manuale, la responsabilità del reparto di Studi sulla documentazione all'ISRDS, la presenza costante e impegnata in diversi ruoli nelle istituzioni europee e internazionali, FID, ECIA, la passione per AIDA fanno di lei una persona di tutto rilievo nel panorama delle Scienze dell'informazione in Italia e all'estero.

Del resto, questa dimensione di complessa unitarietà di lavoro e di studio, di servizio e di spirito amicale, di visuale sovranazionale, è quella che i colleghi rappresentanti di Paesi europei, al CIDST della CE hanno percepito e premiato con una medaglia - la prima donna a riceverla - di bronzo, negli anni '80, con su un ritratto di Robert Schuman da una parte e dall’altra la scritta CECA, prima tappa della Federazione Europea, un riconoscimento che ha interpretato lo spirito più profondo di Maria Pia.

Ragionando con i numeri di AIDA

Il 19 novembre 1984, introducendo i lavori del primo Convegno dell'Associazione Italiana per la Documentazione Avanzata, il Presidente Paolo Bisogno preconizzava per uno scenario a medio termine due rivoluzioni qualitative, e cioè che avrebbero modificato radicalmente la vita sociale per i prossimi decenni. La prima, informatica, attraverso tecnologie sempre più sofisticate avrebbe «informatizzato la società nel tentativo di stendere una vera e propria rete a modello del sistema sanguigno, attraverso la quale far scorrere la linfa vitale dell'informazione-innovazione per vivificare ogni parte del sistema»; la seconda, la rivoluzione biologica, avrebbe teso ad «una manipolazione più complessa che consiste nel trasferire il patrimonio genetico di un organismo ad un altro per correggerlo o modificarlo, per rimediare cioè ai disordini genetici o, addirittura, per costruire nuove specie vegetali ed animali» (Bisogno, 1984). Le previsioni di Bisogno non sono andate lontane dal vero. Nel giro di cinque anni, alla fine dell'89, la rete Internet avrebbe non solo informatizzato pervasivamente la società, ma avrebbe dato il nome ad una nuova era, quella della società della conoscenza, in cui l'escalation dell'elaborazione informativa avrebbe contemplato la propria esaltazione, con stili e sfere di vita sempre più collocati nello spazio virtuale, dove le attività comunicative di base - lettura, scrittura e numerazione - hanno assunto modalità altra da quelle trasmesse da intere generazioni.

In realtà, la società del 2000 si confronta ancora sul piano delle pari opportunità in maniera contraddittoria e non conclusiva. L'impianto di genere della società della conoscenza e post-moderna conserva ancora problematiche irrisolte della società postindustriale. La consistenza della denuncia della Fairchild, nello specifico ambito di lavoro, per certi aspetti permane, come del resto permangono, nonostante conquiste di principio e di diritto evidenti, gli obiettivi di Léonie La Fontaine. Del resto, se la tekne, in Europa, negli anni '50 e oltre, è ancora «un simbolo del predominio maschile portando in sé il rischio di arrivare ideologicamente a posizioni metafisiche» (Cavarero, 2003), per decenni l'armamentario tecnico-pratico è stato disegnato e costruito a supporto dell'«ordine, tatto, precisione, puntualità, memoria, buon senso […], qualità indispensabili al lavoro d'ufficio - che la donna spesso possiede più spiccatamente dell’uomo… così l'archivio, il telefono, la macchina per scrivere, la calcolatrice, eccetera…» (Manuale della segretaria moderna, 1958).

Oggi, la cybersociety, con la sua struttura di rete interattiva, mette in crisi il mondo fisico, esplora contatti multipli, anonime presenze virtuali, frammenta i tempi di lavoro oltre il ritmo diurno, fa saltare i modelli separatisti del rapporto uomo-donna, fino ad elaborare nuove figure - forse mitologiche - come il cyborg di Donna Haraway, un ibrido post-moderno di cibernetico e organismo, emblema di «un soggetto nomade che esprime la necessità di negoziare margini e confini senza ignorare la radicale materialità dei corpi in quest'epoca di neocolonizzazione politica ed epistemologica» (Borghi, 2001).

Esaminando alcuni dati di AIDA, la nostra associazione giovane ancora e proiettata nel futuro di una professione a tecnologia avanzata, si potrebbe restare perplessi sulla tendenza, ormai stereotipata, alla femminilizzazione del lavoro e al carattere invece maschile della rappresentanza. In realtà, i dati di AIDA possono suggerire anche una diversa lettura: l'impatto delle nuove tecnologie non è stato estraneo alla costruzione di una nuova identità femminile nel mondo professionale dell’informazione. «La tecnoscienza - possono dire anche le donne di AIDA - è parte integrante della nostra vita» (Haraway, 1997).

I fondatori di AIDA sono prevalentemente uomini; i soci prevalentemente donne; la composizione del CD prevalentemente accentata al maschile; la collaborazione alle attività qualitative dell'Associazione, soprattutto la rivista e i convegni, è prevalentemente femminile nella prima, è sostanzialmente connotata al maschile la seconda. La linea evolutiva fa però emergere un'appartenenza e una identità al femminile.


Fig. 1 - Evoluzione dei componenti del CD dal 1983 al 2003


Fig. 2 - Evoluzione della presenza femminile nell'Associazione



Fig. 3 e 3bis - Articoli firmati in AIDAinformazioni 1985-2002: donne/uomini e donne/totale


Fig. 4 - Composizione organizzativa dei Convegni AIDA

La lettura analitica dei dati può individuare alcune motivazioni tra le seguenti.

AIDA nasce sotto la spinta ideativa di Paolo Bisogno, da una parte, quindi, nell'area naturale dell'ISRDS, dell'intellettualità del CNR, in generale, dell'Università, soprattutto negli ambiti disciplinari di Storia, Filosofia, Sociologia della Scienza; dall'altra, è sostenuta da istituzioni, pubbliche e private - la RAI, per esempio - legate al mondo dell'industria e dell'economia, della ricerca scientifica, che aderiscono o come enti o come tecnici professionali.

Anche se nominalmente nuovi, i partecipanti al primo convegno AIDA - documentalisti di terza generazione - sono in realtà spesso eredi di una tradizione documentalistica e di un modello organizzativo - a loro volta eredi di interventi diretti di Paul Otlet nella prima metà del secolo - che si erano già espressi a Roma nei decenni precedenti in due differenti occasioni.

Nella prima, ossia nel "Congresso mondiale di documentazione, XVIIIa Conferenza Internazionale di Roma", 1951 (La documentazione in Italia, 1952), la documentazione italiana si connotava secondo un modello di rappresentanza maschile. In quell'occasione avevano infatti partecipato per l'Italia 115 rappresentanti in totale, compresi gli enti, di cui soltanto 9 unità costituivano la presenza femminile; tra queste, le relatrici furono 5: Fernanda Ascarelli, Laura De Felice Olivieri Sangiacomo, Alessandra Omodei, Michelina Pedroni, Adele Provenzal.

La seconda, nella "Conferenza Internazionale sulla preparazione professionale per il lavoro dell’informazione", organizzata dall’INI, con il patrocinio della FID nel 1971 (Lubbock, 1971). Gli Atti della Conferenza, curati dalla mitica Georgette Lubbock, venuta in Italia durante la seconda guerra mondiale al seguito dell'Intelligence inglese, prima rappresentante per l'Italia all'Online Meeting e, secondo la prima generazione dei soci AIDA, la vera animatrice della documentazione italiana, testimoniano ancora una prevalenza maschile: 12 donne, nessuna italiana, su 63 uomini partecipanti.

Una convergenza di elementi, la morte prematura di due Presidenti fondatori, la pervasione delle TIC, la persistenza di impegno nel lavoro di base nella rivista e nell'organizzazione tecnica dei convegni, l'avvento di una nuova consapevolezza con la società della conoscenza che rimescola a livelli di maggiore generalità il dibattito sul ruolo professionale della documentazione, ha capovolto la rappresentanza fino alla dismisura delle proporzioni nella richiesta al femminile dei servizi gratuiti di AIDAlampi. Ciò che è rilevante nell'evoluzione della composizione dei numeri di AIDA è che la complessificazione dei sistemi tecnologici e la sofisticazione delle modalità di lavoro non hanno scoraggiato le donne.


Fig. 5 - Utilizzo dei servizi gratuiti AIDA

Discorsi incrociati

I contributi distribuiti nelle sezioni di questo fascicolo sono frutto di una generosa e convinta cooperazione di colleghe e colleghi, di amiche di generazioni diverse che si sono entusiasmate per un soggetto così poco esplorato. L'ELIS (1968-), una reference specifica e di provata affidabilità scientifica, solo recentemente, in uno dei volumi di aggiornamento, dedica una voce alla specificità di genere, ma limitatamente alla comparazione d’uso tra donne e uomini di uno strumento comunicativo quale l'e-mail (Gefen, 2001). Nei suoi primi 32 volumi non presenta voci di riferimento né a women-  né a gender-; considera invece soltanto 5 biografie di donne contro 37 di uomini. E tale sperequazione comparativa trova riscontro anche in altri strumenti di reference, più specificatamente rivolti alla biblioteconomia, dove la presenza femminile è, come si è detto, storicamente più marcata. Ad esempio, in ALA World encyclopedia of library and information services (1980) sono state incluse 35 biografie di donne su 132 di uomini (Brand, 1983). Si potrebbero citare altre fonti, ma la distanza proporzionale continuerebbe ad essere la stessa.

Questo numero monografico di AIDAinformazioni, presentato per la celebrazione del ventesimo anniversario di AIDA, trova dunque una doppia motivazione: il tema poco studiato che merita approfondimenti; il riscontro di genere che pure AIDAinformazioni testimonia.

Il numero è costruito intorno a quattro gruppi di argomenti che sfaccettano il tema generale da un punto di vista storico, scientifico, professionale e prospettico, avvalendosi di specialiste e specialisti del settore, in prevalenza donne, e incrociando l'esperienza di studio e di lavoro di generazioni diverse. Il numero si apre, non a caso, con Memorie e profili, una sezione in cui trovano posto le prime pioniere della documentazione quali Léonie La Fontaine e Suzanne Briet, ma anche la firma di pioniere di seconda generazione come Maria Pia Carosella o della Martinelli, altra fondatrice di AIDA, il cui ambito di lavoro, la biblioteca della FAO, è strettamente connesso con l’ipotesi organizzativa a rete integrata (documentazione scientifica + documentazione amministrativa), presentata da Otlet al Marchese Cappelli (Baldazzi, 1996). Nella prima sezione, la memoria a volte si fa evocazione di atmosfere rarefatte, intellettuali, che richiamano certi quadri di espressionisti tedeschi di inizio secolo - penso a Macke, La moglie dell'artista - che raffigurano donne colte, eleganti, sobrie, sedute ad un tavolo con un libro in mano e magari un cappello a falde larghe. Penso alla Suzanne Briet di Meyriat e al clima speciale di quella Sala cataloghi di spoglio, per specialisti di bibliografia. Ho frequentato quella sala a metà degli anni '70 mentre preparavo la mia Bibliografia dannunziana e nel ricordo ho ritrovato proprio quell'atmosfera. Nella prima sezione, gli aspetti autobiografici si arricchiscono di scienza e di filosofia: è il peso ontologico che nella teoria delle classificazioni ha portato la Dalhberg - e il saggio della Negrini ne dà un esauriente approfondimento; è il peso dell'informatica documentaria che Maria Bruna Baldacci, tra le prime in Italia, ha applicato al recupero dell’informazione bibliografica.

D'altra parte, in questi giorni di primavera così incerta tra pace e guerra, aprire il primo numero del 2003 di AIDAinformazioni con la presentazione ai professionisti italiani di Léonie La Fontaine, espressione di un doppio intreccio nelle radici storiche della documentazione europea, quello degli ideali umanitari e pacifisti, con quello delle competenze tecniche dell'elaborazione intellettuale dei documenti, significa celebrare il ventennale di AIDA con un gesto quasi semiotico. Un filo rosso attraversa con più corrispondenze tutto il numero, dalla prima all'ultima sezione. Per Léonie La Fontaine, la difesa dei diritti delle donne si esplica infatti anche con la costituzione di un centro di documentazione specializzato, teso a creare informazione ed educazione, e questo è ancora il senso promosso dal Centro di documentazione donna di Modena, ma pure dall’Associazione laureati in Informatica e Scienze dell'Informazione.

Alla specificità di genere e alla ricerca documentaria, intesa in senso ampio come specificità di fonti e modalità di costruzione delle stesse, è dedicata la seconda sezione Scienza, conoscenza e documentazione di genere. I quattro contributi affrontano temi diversi, ma l'identità di genere e in parte la metodologia della ricerca quantitativa ne unifica le angolature: la raccolta dati, i criteri di costruzione di questionari, l'analisi delle banche dati, i linguaggi di indicizzazione sono gli aspetti documentari specifici con cui viene letta una diversa identità di genere.

Come le studentesse universitarie guardano la scienza e il titolo metonimico, Sguardo di ragazze sulla scienza e i suoi valori, traduce con un'immagine visiva il tema attuale del public understanding; come le bambine e le adolescenti vengono rappresentate linguisticamente nella banca dati nazionale dell’infanzia e adolescenza dell’Istituto degli Innocenti; come le studiose incidono in percentuale e con quale spessore semantico nell’editoria italiana; come la salute della donna - l’espressione grafica del titolo, riprendendo la sintassi dei motori di ricerca, rimanda ironicamente alle sintesi futuriste - debba ancora trovare indicatori concretamente rispondenti per essere documentata.

Le terza sezione riguarda la formazione in documentazione in Italia. Qui è percepibile l'evoluzione avvenuta negli anni: l'esperienza personale di continuo aggiornamento fuori dai canali istituzionali per la mancanza di un riscontro di alta formazione - università e master - si intreccia con la capacità delle nuove generazioni laureate in discipline pertinenti e convergenti verso l'area professionale, consapevoli della disparità di opportunità nell'àmbito di un sapere, le ingegnerie ad esempio, ancora prettamente connotate al maschile.

Il numero si chiude con tre contributi giovani: giovane il Centro di Modena, di recente istituzione; giovani le autrici che hanno scelto di analizzare da punti di vista diversi i siti di e sulle donne. Se si vuole, il numero di AIDAinformazioni ha una struttura circolare: si apre con la memoria di Léonie La Fontaine e il suo Centro di documentazione delle donne a Bruxelles e si chiude con la prospettiva di sviluppo e crescita in rete di centri e siti di donne, a testimoniare come esse sono presenti con una rinnovata consapevolezza nei momenti significativamente evolutivi della società, oggi g-locale, ancora a più di cento anni di distanza, con strumenti linguistici in costruzione ancora per informare e comunicare nelle pari opportunità in uno spazio aperto e virtualmente democratico.

Riferimenti bibliografici


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