Un veicolo alternativo per la comunicazione scientifica: il punto di vista degli autori sugli open archives
L'evoluzione tecnologica offre nuove possibilità per garantire una disseminazione più ampia dei risultati della ricerca scientifica, con costi più contenuti rispetto ai tradizionali meccanismi editoriali delle pubblicazioni cartacee. Il mondo della ricerca sta riflettendo, in questi anni, sulla necessità di modificare ed innovare i metodi con cui sono diffusi e fatti conoscere i risultati del lavoro scientifico.
Il CILEA e l'Università degli studi di Milano, con il patrocinio del MIUR, hanno organizzato il 20 Maggio di quest'anno la conferenza "Comunicazione scientifica ed editoria elettronica: la parola agli autori", per dare appunto agli autori l'opportunità di esprimere le proprie esigenze nel campo delle pubblicazioni elettroniche attraverso gli open archives. Com'è noto, la riflessione su questo tema ha generato una letteratura assai vasta; in questa sede, ci limitiamo a indicare uno fra i repertori più estesi ed aggiornati su questo tema e sugli altri ad esso correlati [1].
La conferenza si è articolata in tre momenti distinti. Nella prima sessione gli interventi hanno illustrato la situazione odierna delle pubblicazioni in formato elettronico svincolate dai circuiti editoriali commerciali.
Antonella De Robbio è intervenuta sul tema dell'auto-archiviazione (self-archiving). E' indispensabile, ha dett De Robbio, che siano i detentori originali dei diritti d'autore (e dunque gli autori in prima persona) ad immettere i propri lavori refereed nel circuito degli archivi aperti. Gli autori dovrebbero contrattare con gli editori commerciali per riservarsi questa possibilità; un numero crescente di periodici permette già questa pratica. Questo comportamento consente un notevole aumento dell'impatto del proprio lavoro. La sfida attuale degli open archives già presenti è di raggiungere una massa critica di lavori "certificati". L'intervento inoltre ha messo in luce gli ostacoli attuali alla pratica dell'auto-archiviazione: tali ostacoli possono essere superati attuando delle apposite politiche a supporto dell'auto-archiviazione. Ad esempio dotando gli archivi di funzionalità che offrano strumenti utili alla valutazione della ricerca ed altri servizi ad alto valore aggiunto. Un impulso decisivo può provenire dall'adozione di una politica sistematica di auto-archiviazione da parte delle Università e degli altri enti di ricerca dei lavori dei propri ricercatori dopo che hanno passato un iter di certificazione di qualità.
L'intervento di Renato Spigler ha illustrato il meccanismo di controllo di qualità ora vigente per gli articoli scientifici, ossia il meccanismo del peer review. Gli articoli proposti a una rivista che adotta il peer review vengono vagliati da un insieme di esperti sull'argomento, che ne valutano l'originalità e la correttezza; uno scienziato viene così giudicato dai propri "pari". Il sistema si presta certamente ad abusi, dipendendo sempre da un giudizio soggettivo. D'altra parte questa operazione può avere tempi d'attesa molto lunghi (in alcuni casi fino a due anni), e tale situazione porta i ricercatori delle discipline in più rapida evoluzione a scambiarsi informazioni attraverso testi non ancora pubblicati (pre-prints). In pratica ci si affida alla reputazione dell'autore stesso. Gli open archives potrebbero usare un meccanismo simile.
Roberto Delle Donne ha portato l'esperienza del gruppo di "Reti Medioevali", <http://www.retimedievali.it/
>.Si tratta di un sito complesso, che intende coordinare, con gli strumenti della rete, gli sforzi scientifici dei medioevalisti italiani. Si vuole diffondere sul Web i risultati dell'attività di ricerca degli storici medioevali, preservando i diritti intellettuali. Vengono prodotte alcune monografie e una rivista; tutti i testi pubblicati sono sottoposti a peer-review. Appositi accordi con la Biblioteca Nazionale di Firenze e con la Firenze University Press garantiscono l'autenticità dei contributi e la loro conservazione nel tempo. L'iniziativa ha avuto un notevole successo ed ha coinvolto buona parte della comunità dei medioevalisti italiani.Paola Gargiulo infine ha introdotto la sua esperienza di rappresentante italiana di SPARC (Scholarly Publishing and Academic Resources Coalition). Per frenare la crescita delle spese per i periodici, le biblioteche accademiche hanno organizzato consorzi per gli acquisti, ma questo non è stato sufficiente; inoltre gli editori commerciali mettono dei limiti all'auto-archiviazione, frenando così la disseminazione dei risultati raggiunto. SPARC dà la possibilità di creare delle riviste elettroniche in concorrenza con quelle commerciali esistenti. Non sempre è necessario creare una nuova rivista; la presenza di un'alternativa può essere usata per far diminuire il prezzo e permettere l'auto-archiviazione; indubbiamente va cercato il consenso degli autori, in particolari di quelli più "autorevoli", che compongono i comitati editoriali delle riviste.
Nella seconda sessione il tema affrontato è stato la validazione e la certificazione della ricerca. Le metodologie attualmente in uso sono nate e si sono formate quando l'editoria era solamente cartacea. Se i passaggi attraverso processi di validazione e certificazione rimangono sicuramente necessari, è chiaro che le nuove riviste solo elettroniche dovranno trovare dei sistemi adatti alle loro caratteristiche per certificare la qualità di quanto ospitano. Il problema dell'attuale sistema è che è autoreferenziale e chiuso al suo interno, e pertanto difficilmente accetta delle proposte che escono dai suoi schemi.
L'intervento di Antonio Fantoni ha sottolineato come, per sua natura, la ricerca scientifica debba essere validabile; si ritiene che quanto appaia sulle riviste commerciali abbia superato una verifica, e dunque si tratta di ricerca "validata" e "certificata". Lo specialista seleziona, tra le riviste della sua disciplina, un numero limitato di tali riviste da seguire, tra le 10 e le 30; la selezione avviene sulla base dell' impact factor [2]. Le riviste elettroniche non commerciali hanno chiaramente un'alta visibilità, ma la presenza di esperti che validino la qualità degli articoli è sempre necessaria. Le riviste elettroniche pongono il problema di variare l'impact factor; una proposta sarebbe quella di tener conto del numero di download avvenuti per ciascuna rivista.
Antonio Maria Morselli-Labate ha illustrato le vicende di una pubblicazione elettronica non commerciale, "JOP - Journal of the Pancreas", <http://www.joplink.net/>. L'iniziativa è partita nel 2000, con un'elaborazione iniziata nel 1998. Gli articoli sono in inglese e sono sottoposti ad uno stringente peer review. Particolarmente innovativa è la gestione del copyright: gli autori mantengono tutti i diritti intellettuali, e danno a JOP e ad eventuali aggregatori una licenza (non esclusiva) di diffusione royalty-free.
Numerosi sono gli aspetti positivi dell'esperienza:
Tuttavia vi sono anche diversi aspetti negativi:
Alla fine di questa sessione, è stata presentata da Valentina Comba la proposta del CILEA per l'editoria elettronica: si tratta del progetto AEPIC, che si propone di fornire sistemi per la gestione delle pubblicazioni elettroniche. Difatti, se è vero che le infrastrutture degli open archives sono pronte, è altresì vero che gli articoli tardano ad arrivare, e questo aspetto costituisce il tema principale della discussione sviluppatasi negli ultimi mesi. Il fatto è che, in quanto "lettori", si apprezzano gli open archives, il reference linking, le riviste ad accesso libero, etc., ma in quanto "autori" si preferiscono le tradizionali riviste commerciali. Alla base di questa dicotomia, oltre ai motivi già illustrati, vi sono anche motivi non ammessi in maniera esplicita. Gli autori tendono a confermare il proprio ruolo di controllori nell'ambito della loro disciplina e di curatori di determinati periodici. Si cerca di mantenere questo equilibrio anche se i rapporti con l'editore sono difficili. Il progetto AEPIC dunque si vuole caratterizzare come progetto aperto operando su questi punti:
Nel pomeriggio si è svolta la tavola rotonda con interventi provenienti da diversi ambiti. E' emersa una notevole differenza di posizioni sui temi in discussione, in particolare per ciò che riguarda le consuetudini sviluppatesi nell'ambito delle diverse aree di specializzazione. Nella discussione è emersa come idea comune quella che gli autori possano essere "formati" ad auto-archiviare i propri lavori negli open archives; difatti il passaggio al digitale e all'auto-archiviazione sarà lento ed avrà bisogno di un consenso diffuso prima di prendere realmente piede. Se da un lato si è sostenuto che in numerosi settori gli autori italiani pubblicano poco sulle riviste più prestigiose, dall'altro si è replicato citando alcuni settori in cui la situazione è diversa, e in cui un'iniziativa italiana, pur condotta nella "lingua franca" inglese, potrebbe avere un notevole rilevanza. Inoltre è stato sottolineato che non è certo la parte più provinciale del mondo anglosassone quella che sostiene lo sviluppo degli open archives. Infine, è stata dibattutta la possibilità di realizzare una serie di iniziative italiane in favore degli open archives e una successiva valutazione del loro impatto sulla comunità scientifica.
Gli atti della conferenza sono disponibili a partire da <http://www.cilea.it/convegni/convegnoeditoria/CONVEGNO3.htm>. Essi sono anche depositati sull'archivio E-LIS <http://eprints.rclis.org/>.
Zeno Tajoli, CILEA - Segrate, e-mail: tajoli@cilea.it
[1] Charles W. Bailey, Scholary Electronic Publishing Bibliography, <http://info.lib.uh.edu/sepb/sepb.html>.
[2] Una società commerciale, l'ISI, spoglia una selezione di riviste scientifiche commerciali e ricava quante volte vengono citati gli articoli ivi pubblicati. Dal rapporto tra questo dato e il numero stesso degli articoli viene ricavato un indicatore dell'impatto che ha quella rivista sulla produzione scientifica. Quest'indicatore si chiama impact factor (IF).